
di Ottaviano Del Turco
Il «garantismo» è un lusso che la politica concede a pochi. Sorprende sempre la discussione che si attiva ogni volta che questa cultura, che è l’anima della Costituzione, conquista nuove ed autorevoli adesioni. Ci sono protagonisti che hanno deciso di muovere la guerra alle proposte di riforme che il governo sta discutendo nel Parlamento innalzando le bandiere della difesa dei principi fondamentali della Carta.
Ma fate attenzione alle loro prese di posizione ogni volta che parlano dei diritti costituzionali dei cittadini imputati di reati vari. Quando esprimono il meglio del loro sforzo garantista, finiscono per dire una bestialità intollerabile. Se sono amici degli imputati inviano questo singolare messaggio: mi auguro che tu possa dimostrare la tua innocenza. A me è successo. In nessun paese democratico è consentita una disinvoltura di queste proporzioni: non è l’imputato che deve dimostrare la sua innocenza. Tocca all’accusa che ha costruito il processo, a far vivere le prove che giustificano la richiesta di pene, più o meno severe.
Naturalmente questa enormità segue l’omaggio rituale ad uno dei Padri più autorevoli della carta Costituzionale: Piero Calamandrei.
Guardate cosa è capitato in questi giorni con la sentenza che ha condannato Vasco Errani, dopo il processo di primo grado che lo aveva assolto. Le sue dimissioni, rese qualche istante dopo la lettura della sentenza, hanno aperto un delicato problema politico ed Istituzionale: Errani è, da anni, il presidente della Conferenza delle Regioni, un organismo delicatissimo che gestisce le relazioni con il Governo centrale e media i conflitti che possono insorgere tra le decisioni dell’esecutivo e le leggi, le delibere, che esprimono i poteri e l’autonomia delle Regioni. Lo fa (e per tre anni sono stato testimone diretto del ruolo svolto da Errani) con una misura, con una competenza, con un acume politico di assoluto rilievo. Le sue dimissioni alterano un equilibrio istituzionale delicato.
Trovo normale che il problema che sorge chiami in causa il Governo, innanzitutto il Presidente del Consiglio Renzi. E la sua presa di posizione (Errani è innocente fino a che il suo processo non si concluda davanti alla Corte di Cassazione) suscita un vespaio di polemiche. Cosa c’è nelle parole di Renzi che confligge con le regole e con i poteri di altre istituzioni dello stato? Nulla, assolutamente nulla. La novità è quasi banale: avendo scelto di confermare la più ovvia delle regole garantiste della Costituzione, Renzi schiera il suo Governo, la sua maggioranza, sul versante liberale e democratico della lettura dei principi che regolano ruoli e funzioni dei Poteri dello Stato. Nulla di diverso da quelli che i Padri Costituenti misero alla base dei diritti fondamentali dei cittadini. Forse questo è il problema che ha dato il via alle polemiche: Renzi, ribadendo un principio liberale garantista affronta di petto l’insurrezione giustizialista che rischia di stravolgere le regole di uno Stato democratico e liberale: gli elettori scelgono chi deve governare ad ogni livello: solo una sentenza dell’ultimo grado di giudizio, può rimettere in discussione il mandato popolare, libero e sovrano.
Il «garantismo» è un lusso? Beati gli Stati che possono permettersi di elevare a regola civile questo lusso.
Fonte: IlTempo.it