Casa di Remo, storia semplice della vita ritrovata

28 settembre 2014 | 10:54
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Casa di Remo, storia semplice della vita ritrovata

di Gioia Chiostri

Si nuoce sempre quando mai si fa. Ci si affranca sempre dall’essere umani quando l’umano sentimento non si dà. I sensi della vita possono essere racchiusi nel pugno di una mano sola. Sul pollice, c’è la certezza dell’aver agito bene. Sull’indice, s’adagia la volontà di essere uditi ed ascoltati; sull’anulare la calma apparente di un legame profondo e diretto ad un buon fine. Nel mezzo, però, fra le linee della fortuna e i vortici dell’amore, c’è una mancanza. Un vuoto, quasi.

A Magliano Dei Marsi quella lacuna è stata riempita da un altro vuoto vagabondo, appartenente ad un’altra mano, originaria di Reggio Calabria. Le mani, unite assieme, significano. Dicono e muovono orizzonti. Parlano e non si stancano di provare. ‘La Casa di Remo’ è il frutto di questa osmosi di intenti. E’ una realtà marsicana sorta nel giugno del 2014, nata in pieno solleone, fra gli sforzi di più menti e sentieri tortuosi tracciati fra la sterpaglia burocratica reale di oggi. La struttura si identifica come un ambiente rivolto a persone anziane autosufficienti ed affette da demenze senili, come Parkinson o Malattia di Alzheimer, che richiedono assistenza ma non necessitano di ricovero in strutture residenziali. IlCapoluogo.it, zaino di riflessioni in spalla, è andato a visitarla per tentare di ricostruire la genesi di quest’oasi di delicatezze fra il trambusto d’indifferenza circostante.

Valentina Arillotta, la padrona di casa, per così dire, giovane laureata in Scienze Motorie, confessa di avere avuto l’idea di una casa di accoglienza e svago per anziani almeno «un anno e mezzo fa. Ho maturato successivamente e lontano dal mio paese di origine, una seconda laurea in Terapia Occupazionale presso l’Università degli studi di L’Aquila, dedicandomi in tutti questi anni ad attività inerenti il volontariato. Il mondo della sofferenza e del bisogno mi hanno sempre toccato molto da vicino. Ho anche lavorato per lungo tempo in un centro di riabilitazione convenzionato con la Asl. Ad un certo punto, però, proprio quest’ultimo ha richiesto maggiormente la figura del fisioterapista e non del laureato in Scienze Motorie. Fu allora che venni licenziata; un grande bivio mi si parò dinanzi. L’Aquila si inserisce fra le pieghe della mia vita, un po’ per caso, in realtà. Ho deciso, dopo vari tentennamenti, di tornare ad essere una studentessa e mi sono iscritta al corso di laurea triennale in Terapia Occupazionale. Scelsi, però, di prendere casa a Magliano dei Marsi e non nel capoluogo d’Abruzzo: questo sicuramente è stato un incentivo e un primo sasso gettato verso il mio futuro, ora divenuto realtà. I miei nonni, originari di Reggio Calabria venivano tutti gli anni a villeggiare in questo piccolo paese marsicano e le mie estati infantili hanno sempre avuto il sapore dell’entroterra della Marsica. Mi iscrissi a L’Aquila, a 28 anni compiuti, subito dopo il terremoto del 2009; una bella sfida, senza dubbio. Oggi posso dire che Magliano è divenuta la mia nuova casa e la ‘Casa di Remo’ la mia nuova famiglia».

Quando il cammino che si ha davanti, comincia ad essere illuminato da due, tre o quattro fiaccole loquaci – poiché portanti benessere nella vita propria – allora si può star quasi sicuri di aver imbroccato la giusta stella guida. «La struttura dove ha preso piede la mia idea appartiene alla famiglia del mio fidanzato. Dopo varie indecisioni, convenimmo che la cosa migliore da fare, fosse applicare ciò per cui avevo studiato a lungo su di una realtà concreta. Sicuramente, il lavoro fatto con alcuni ottimi docenti, che si occupano tutt’ora di Alzheimer, mi ha aperto molte strade e molti ‘terzi occhi’ interiori. Ho iniziato a fare vari tirocini veicolati in questo senso in molte strutture specializzate nella cura e controllo di demenze senili. Eppure, quando entravo in contatto con questi ambienti, ciò che sempre mi rimaneva in fondo all’anima era il fatto che, qualcosa, a mio avviso, in essi mancava. Tutte le strutture difettavano di un ‘non so che’. E’ scientificamente provato, infatti, che per i malati di demenze in generale, ricostruire attorno a loro un ambiente di tipo familiare, molto accogliente e ‘caloroso’, li porta ad affrontare meglio la piaga della quale sono, ahimè, affetti. È stato proprio questo assunto a far per me da scintilla interiore. Capii allora quale fosse la mia strada; mi sono detta: quale ambiente più accogliente di una casa come questa? Sono 150 metri quadri di comfort. Mi sono immediatamente informata sui cambiamenti che avrei dovuto apportare per far sì che questa abitazione potesse divenire un centro diurno per anziani. L’unica modifica che feci riguardò il bagno: l’ho reso più idoneo ai miei graditi ospiti, istallando un lavabo per disabili e una doccia senza gradini. La cucina, invece, è rimasta intoccata: ha 40 anni. Io ho solamente fatto aggiungere un’isola nel mezzo per poter fare cucina creativa e terapeutica, una pratica davvero molto adatta ad un centro per anziani. Un giorno, ad esempio, cogliemmo le pere e le facemmo al forno con una spolverata di cannella, quindi non solo pace per l’anima ma anche per il palato. Abbiamo, a questo proposito, chiamato la struttura ‘Casa di Remo’, poiché Remo, per l’appunto, era il nome del padre del mio fidanzato, Valerio».

La ‘Casa di Remo’, sembra, a tratti, una sorta di fiabesca rievocazione della casa di Biancaneve. Un orto alle sue spalle, dove si coltivano vari ortaggi, un recinto per conigli, due bianchissimi pastori abruzzesi a far da custodi al tutto, cementificano quel senso di estrema agiatezza che l’anima umana ha quando incontra per strada la sua casa nel cuore di un altro uomo. «C’è da dire – afferma Valentina – che il terapista occupazionale lavora con gli anziani affetti da demenze sino a quando essi sono capaci di essere autosufficienti. Ma, in fondo, si lavora con lo stadio più critico del paziente, poiché egli, essendo ancora lucido, è consapevole che nella sua vita si sta insinuando il virus di un cambiamento, di uno stravolgimento, anzi. Io ho sempre pensato che la dignità degli anziani vada rispettata più di ogni altra cosa. È errato, a mio avviso, trattarli come malati quando lo sono ancora in parte e quando la loro mente lavora ancora più o meno bene. In fondo, loro sono stati le spine dorsali della nostra vita adolescenziale: perché buttarli giù e trattarli come oggetti di medicina?». Valentina, accompagnata in questa avventura appena nata, da una sua grande amica, Sara Napoleone, laureanda in Psicologia presso la stessa Università aquilana, per attaccare le giuste piume alle ali del suo sogno, si è, in breve, affidata ad un decreto regionale, il numero 320/2000, che le ha permesso di aprire ‘La Casa di Remo’ come struttura di tipo familiare. Un grande salto nel buio della foresta burocratica. La sua compagna d’avventura, 26enne, si auto-identifica come sua spalla. Valentina e Sara hanno aperto l’associazione assieme. Le fila di un’idea devono per forza di cose avere dei burattinai coraggiosi. Tasse, muri, lentezza. Oggi, in Italia, si spreme l’energia a fiotti dai giovani. Con una disoccupazione tale, approdata quasi alle stelle, è da ammirare chi accende il faro di una soluzione, seppur momentanea.

«Spero di essere un esempio da migliorare. Non un modello, non mi fregio di tanto. Magari potessero nascere più realtà come la mia. Io sono qui apposta, per provarci e riprovarci finché l’ostacolo della pigrizia mentale non s’abbatta del tutto. Secondo me, oggi siamo un poco bloccati: pochi aiuti giungono a chi vuole mettere in piedi piccole imprese, figuriamoci a chi vuole aprire gli occhi sul sociale. i giovani, ora come ora, possono anche avere mille fantasie come le ho avute io e come le avranno i miei futuri figli, ma se non c’è la benché minima possibilità di un aiuto ‘dall’alto’, la fantasia resta tale e la scommessa con il futuro è persa già in partenza. Basti pensare che abbiamo partecipato al bando di un concorso regionale per il finanziamento di imprese al femminile e abbiamo chiesto addirittura, con preventivi, fatture e documentazione, non l’intera somma messa a bando per ciascuna impresa, ma molto di meno: ossia lo stretto indispensabile per eseguire i lavori necessari. La commissione nominata dalla Regione preferì però finanziare negozi di parrucchiere, sale da gioco, sale scommesse e la nostra richiesta rimase inascoltata. Pur avendo tutta la documentazione in ordine non è stata inserita fra quelle da finanziare». Per ogni famiglia, c’è almeno un anziano da soccorrere come tale. Un vecchio del tempo moderno, che non trova tranquillità nella routine quotidiana, sorda ai suoi afflati lenti e sottilmente gemuti. I vecchi sono vittime non legittimate, in fondo. Sono solo racconti di guerra, storie ingigantite dall’età. Ma non per Valentina: per lei sono prima di tutto persone.

Quando si calpestano i quadrifogli del giardino di fronte la dimora in legno, non un solo stato d’animo invade l’arguto visitatore. Ad ogni passo, nel cuore, rinverdisce il grande sacrificio che Valentina e la sua acquisita famiglia hanno fatto per far sì che la Marsica avesse un qualcosa in più per chi viaggia nella, a volte, spaventosa terza età. «Io so che è difficile. A volte mi sono trovata in alcune situazioni, con i pazienti, davvero spinose. Però se si ha la passione nelle vene e tanta pazienza nelle arterie, lo si fa e lo si affronta tranquillamente. Io, ad oggi, posso accogliere fino ad un massimo di sei anziani al giorno, sempre per via del decreto a monte. Per me, la ‘Casa di Remo’, è una sorta di asilo per nonni, in quanto essendo diurno, li accoglie giornalmente, dalla mattina sino al pomeriggio inoltrato. Ciò che più mi preme fare, è anche portare un poco di serenità nella vita delle famiglie che vengono da me per lasciare un loro parente. Un marito, un figlio, una figlia che, giorno dopo giorno, cominciano ad entrare in contatto col lato più oscuro di una qualsiasi demenza, non sempre reggono allo stress psicologico. Io chiacchiero con i loro nonni, i loro padri, i loro avi: e loro mi ringraziano. In fondo, è uno scambio di parole con chi, un tempo ci accudì quotidianamente. Bisogna rispettare la vita che cresce, ma anche quella che, volente o nolente, decresce».

La campanella di entrata, per la ‘Casa di Remo’, suona alle ore nove del mattino in punto. I familiari conducono i ‘pazienti’ nella struttura di mattino presto e li vanno a riprendere per le 17 ogni pomeriggio. Un po’ come un ‘doposcuola’ per adulti, si offre quasi l’inizio di una seconda vita, che può essere anche una seconda giovinezza. Un via vai di gambe, sogni, avventure. Le attività che si svolgono, vengono accordate con la giornata che capita. Si fa giardinaggio se fuori è bel tempo, si lavora in casa, si cuce, si cucina, si parla di sé e degli altri. Si dipinge e si favoleggia. Si ascolta, e molto. Attività che, in una frettolosa strada circostante, quale l’autostrada, che costeggia la stradina di campagna che porta alla Casa, forse nemmeno si annusano più. Memoria, mani, pratica: tutto ciò si fa nella ‘Casa di Remo’ e ogni cosa è fatta per sé stessi, senza secondi fini. Ognuno dà del proprio e riceve dagli altri, contraccambiando. Nel futuro, Valentina vede il piano superiore della villetta, occupato da una funzionale palestra; tutto ciò per permettere ai suoi anziani di praticare anche un po’ di moto.

Animali da campagna, probabili gallinelle che – forse – si aggiungeranno alla famiglia da fattoria, sono un aiuto per chi, come molte signore, hanno perduto un poco la bussola della vita. «Un’anziana venne da me il lunedì, appena aperto. Il giorno dopo tornò ma non ricordava nemmeno di essere venuta a trovarci il giorno prima. Ebbene, dopo varie stimolazioni da me attuate, adesso ha giornalmente il pensiero di dover dar da mangiare ai conigli a una data ora. Per i miei anziani, è divenuto un impegno quello della cura degli animali che posseggo. Anche il fatto di sapere che, ad una certa ora della giornata, si deve apparecchiare, per loro è uno stimolo a restare con i piedi uniti su questa vita affaccendata. Io non offro un’accoglienza passiva; ciò che si fa nella ‘Casa di Remo’ è quanto di più attivo e stimolante a livello di psicologia e memoria si possa immaginare. Non è assolutamente una casa di riposo: è una giostra di occupazioni. Ovviamente, io sono sempre vigile e premurosa. Se un mio anziano ha il Parkinson, ad esempio, cerco in tutti i modi di fargli usare il coltello il meno possibile. Attuo tutti i crismi del caso: è una casa di assistenza, contornata dalla mia specialità in Terapia Occupazionale. Da giugno, ho iniziato subito a lavorare sodo, nella Marsica, l’eco gira veloce».

La ‘Casa di Remo’ affonda le proprie radici nell’essenza associativa. Di fatti, Valentina ha messo in piedi un’associazione, della quale ella è la presidente, per far sì che tutta la struttura abbia valore. La sua compagna di avventura, membro dell’associazione, ha vissuto sempre nel mondo del sociale, sin dai tempi dell’Azione Cattolica; anche per lei il volontariato sembra una fede e una sfida. «Molte delle attività che offro, in fondo, rispecchiano non poco le normali usanze di un’associazione di cultura. Si dipinge, si gioca con la cartina dell’Italia, per ricordare i nomi dei posti e dei luoghi, si fanno anche le marmellate in barattolo, visto che dispongo di una bella fila di pruni. Io amo prendermi cura dei miei ‘bimbi’ col tempo. Non amo la fretta o il fatto di dover fare tutto subito. Io accolgo lentamente il bisognoso e lo curo amorevolmente giorno dopo giorno. Per me, nella ‘Casa di Remo’, tutti, ma proprio tutti devono potersi sentire a casa». Valentina vorrebbe, però, far crescere l’erba sul suo selciato. Attrezzare il giardino con degli attrezzi specifici di terapia occupazionale, quali per esempio la cyclette o delle tavole per la manualità atte a stimolare la motricità fine. «Ma ci vuole il denaro per tutto ciò. Io rinvesto le quote associative che mi derivano da questa attività per loro, i miei anziani. Tutto riproposto e riutilizzato per il loro benessere, non chiedo altro. Oggi non parlo di lavoro, perché è una parola talmente densa di responsabilità e senso che nemmeno la si usa più. Io parlo di, almeno per il momento, volontariato. Sano e puro volontariato. E mi piace». La realtà di Valentina è un centro diurno, che accoglie e rallegra la terza età dalla mattina al pomeriggio inoltrato. «Di case di riposo ce ne sono a bizzeffe. Questo manca: un centro che rivitalizzi chi tanto diede un tempo e non può, per casualità della vita, dare più. Il bacino di utenza è quello marsicano. Ci sono persone da Magliano, Avezzano, Forme. I miei mezzi di propaganda sono Facebook e il volantinaggio. Oggi, posso contare anche su questo articolo, ma farmi conoscere è davvero il mo obiettivo. Far conoscere la qualità che offro, soprattutto».

«La demenza porta ad alti e bassi dell’umore – spiega ancora Valentina – è sicuramente una bella sfida far star bene, ogni giorno, i miei ‘alunni’. Bisogna, molto spesso, capire fin dove puoi arrivare con la tua attività; capire quando devi cambiare passatempo perché magari molti ospiti non sono così dotati di pazienza. Noi accogliamo sia anziani in senso stretto che anziani affetti da demenza, sempre però circoscritta al periodo iniziale. Abbiamo, di recente, letto ad esempio dei componimenti del marito defunto di una nostra paziente. Racconti e poesie del passato che hanno ripreso forma e sostanza fra le mura della ‘Casa di Remo’, una bella giornata trascorsa fra le parole di ieri. Molto spesso, poi, capita di trovarsi di fronte ad anziani che perdono l’appetito, poiché lo stadio iniziale di qualsivoglia demenza comporta anche un po’ di depressione. Molte signore, dopo il nostro supporto, cambiano anche di umore. Tornano ad essere allegre. Ciò che spero di offrire, è una sorta di seconda infanzia a chi per tanti anni ha curato e rattoppato con amore quella relativa ai suoi figli. Lo scontro, l’esasperazione, il non sopportare più nulla sono stati d’animo che fanno parte del circolo di queste ‘ombre’ sulla mente. Personalmente, non voglio essere vista come un’infermiera o come una superiora. Per loro, devo essere una compagna di giochi quasi, un’amica. Tant’è che la mia prima paziente crede che io sia la sua migliore amica, ed è anche bonariamente molto gelosa di me. Io, in questa mia struttura, cerco sempre di condurre gli anziani nel mondo delle loro vecchie occupazioni: quindi la pratica dell’orto, della cucina, degli animali, del cucito. Rivivere i momenti di quando si è stati bambini, aiuta molto a non lasciarsi andare alla deriva. Un altro signore (che per tutela della privacy chiamiamo Rolando Ndr.) di soli 63 anni, ha praticamente acquisito il mio accento calabrese. Mi imita in tutto e per tutto e fa divertire tutta la combriccola della terza età».

Cosa ha portato una giovane ragazza calabrese ad intraprendere il sentiero del sociale a 360 gradi? «Quando sento che gli anziani non si sopportano; questa è l’affermazione che, dentro, più di tutte le altre, mi ha acceso un fuoco. Non sopporto l’idea di screditare una figura che, anche se invecchiata, un tempo c’ha dato tanto e tanto amore. Ci ha istruito, per dirla tutta e ci ha messo in braccio un valore. Un giorno vorrei poter dare anche supporto ai familiari. Mi rendo conto che combattere tutto il tempo contro una demenza che cavalca, non è semplice e non è facile. Io offro una possibilità a chi si sente solo nel vasto campo dell’ignoranza. Avere in casa un ‘sordo di emozioni’, non si affronta se si ha poco tempo e poco supporto». Per Valentina e la sua collega, non si è mai trattato di lavoro. Tutt’al più di fiammifero dell’anima. È una luce al fondo di un burrone che sa di secco. E di vuoto. Spesso, si trova una ragione di vita all’interno di un scatola chiusa, quale può essere quella nel mezzo delle montagne rocciose dell’Abruzzo. Nessuna indicazione sulla strada che porta alla ‘Casa di Remo’, eccetto quella del ‘sentito dire’. Il cartello di legno che ne indica l’entrata, è il sorriso delle sue custodi. L’illuminazione vera, non è quella di un lampione su di un borgo medievale: esso illuminerà sempre e solo il passato ingabbiato e impolverato. Il vero lume è quello di un’idea per ripartire daccapo. S’illuminerà solo allora la via lattea dello sguardo al futuro.

«Io, ora come ora, non mi devo arricchire, non voglio il lusso, l’impresa grande, il nome che ‘pesa’. Voglio solo poter sopravvivere con la mia idea in un mondo dove le idee nascono e muoiono nel giro di una giornata passata dal burocrate di turno. Io, la mia energia, la vendo in questo modo. Non ho paura del futuro perché, a mio avviso, è l’altra faccia del presente. Se si semina oggi un chicco di riso, domani qualcuno ne seminerà un altro in una zolla circonvicina, guardando al tuo esempio. Alla fine cosa si otterrà? Una risaia. Una lunga ed estesa risaia che fa da contraltare al muro del pianto di oggi». Si invita a percorrere via Strada 16, che a Magliano è tutt’oggi poco segnalata a livello di cartelli stradali e a fermarsi al primo cancello di legno presente; sempre aperto. Un’onda verde, albeggiante, avvolgerà il titubante visitatore. Anzianità è scegliere nuovamente cosa fare della propria vita, quando essa stessa ha subito un forte scacco dal destino. A ‘Casa di Remo’, si festeggia la ripartenza: l’ultimo odore di una personalità che muore solo quando ascolto non le si dà.

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