
«Sono stati commessi crimini tra i peggiori del genere in Italia, sulla testa di decine di migliaia di persone. Le pubbliche autorità avvertirono Montedison dell’inquinamento delle acque dei pozzi e non i cittadini, le vittime».
Sarebbe questo uno dei passaggi in aula del pm Anna Rita Mantini, durante la requisitoria, nell’ambito del processo a porte chiuse in Corte d’Assise, a Chieti, sulla megadiscarica dei veleni di Bussi sul Tirino (Pescara).
«IL DATO DELL’OMERTA’» – Una società esterna, nel 1993, segnalò a Montedison la grave situazione di inquinamento, sottolineando che le attività erano inadeguate e proponendo investimenti sia per il risanamento che per lo studio degli effetti sulla salute. Su un appunto sequestrato, riconducibile ai vertici Montedison, rispetto allo studio e con riferimento alle vecchie discariche c’è scritto ‘non ci conviene’.
E’ quanto emergerebbe da nuovi documenti illustrati in aula del pm Anna Rita Mantini, durante la requisitoria, nell’ambito del processo a porte chiuse in Corte d’Assise, a Chieti, sulla megadiscarica dei veleni di Bussi sul Tirino (Pescara).
Lo studio fu consegnato ad uno degli amministratori della società, oggi imputato, ma Montedison decise di non seguire le indicazioni e di fare internamente «noi», come si legge sull’appunto sequestrato. Gli investimenti ambientali da parte di Edison – avrebbe evidenziato il pm – furono ridotti da 36 miliardi di lire del 1991 a sei miliari del 1994, ovvero un sesto. Nel corso della requisitoria, Mantini si è soffermata anche sul «dato dell’omertà» che vi è stata sul caso ed ha citato alcune delle poche testimonianze dirette.