
di Valter Marcone
PRIMA PARTE
“[i]Palazzo bello. Cane di notte dal casolare, al passar del viandante./ Era la luna nel cortile, un lato
tutto ne illuminava, e discendea/ sopra il contiguo lato obliquo un raggio…[/i]”.
Così si apre la prima pagina del diario di Giacomo Leopardi, scritta tra luglio e agosto del 1817.
{{*ExtraImg_219714_ArtImgRight_300x312_}}Leopardi ha appena compiuto 19 anni.
Nel 1817 comincia a tenere un diario e proprio sulla prima pagina riporta un frammento del suo “Principio di un rifacimento del saggio sopra gli errori popolari degli antichi“, in cui la luna compare come una presenza magica e misteriosa. La luna è qui la complice di sguardi segreti, di silenzi incompresi.
Siamo dunque nel 1817, il colloquio con la luna nasce da un bisogno di fantasia e da una esigenza di amore, continuerà ininterrotto fino al 1837 e dimostrerà che quella di Giacomo è una visione molto diversa da quella ereditata dal padre, un’arida visione materialista e meccanicistica.
Del satellite della terra così ne parla nel [i]Frammento XXXIX[/i] che costituiva l’inizio di una cantica in terza rima composta tra il novembre e il dicembre del 1816 dal titolo [i]Appressamento alla morte[/i].
[i]Spandea il suo chiaror per ogni banda
la sorella del sole, e fea d’argento
gli arbori ch’a quel loco eran ghirlanda.
Limpido il mar da lungi, e le campagne
e le foreste, e tutte ad una ad una
le cime si scoprìan delle montagne.
In queta ombra giacea la valle bruna,
e i collicelli intorno rivestia
del suo candor la rugiadosa luna.
Un nugol torbo, padre di procella,
sorgea di dietro ai monti, e crescea tanto,
che più non si scoprìa luna né stella.
. . .
Veniva il poco lume ognor più fioco;
[/i]
Del 1819 è il Frammento XXXVII:
{{*ExtraImg_219717_ArtImgRight_300x315_}}[i]Alceta: Odi, Melisso: io vo’ contarti un sogno
di questa notte, che mi torna a mente
in riveder la luna. Io me ne stava
alla finestra che risponde al prato,
guardando in alto: ed ecco all’improvviso
distaccasi la luna; e mi parea
che quanto nel cader s’approssimava,
tanto crescesse al guardo, infin che venne
a dar di colpo in mezzo al prato, ed era
grande quanto una secchia, e di scintille
vomitava una nebbia, che stridéa
sí forte come quando un carbon vivo
nell’acqua immergi e spegni. Anzi a quel modo
la luna, come ho detto, in mezzo al prato
si spegneva annerando a poco a poco,
e ne fumavan l’erbe intorno intorno.
[/i]
[i]. . .
allor mirando in ciel, vidi rimaso
come un barlume, o un’orma, anzi una nicchia,
ond’ella fosse svelta; in cotal guisa,
ch’io n’agghiacciava: e anco non m’assicuro.
Melisso: E ben hai da temer, che agevol cosa
fora cader la luna in sul campo.
Asceta: Chi sa? non veggiam noi spesso di state
cader le stelle?
Melisso: Egli ci ha tante stelle,
che picciol danno è cader l’una o l’altra
di loro, e mille rimaner. Ma sola
ha questa luna il ciel, che da nessuno
cader fu vista mai, se non in sogno.[/i]
{{*ExtraImg_219715_ArtImgRight_300x361_}}Ciò che resta in cielo, divelta la luna, è una «nicchia scura»: l’ombelico del nulla.
Un’angoscia fantasiosa ma allo stesso tempo pregante che traspare anche in un altro frammento, il XXXIX, nel quale si delinea una luna allegorica. La luna è una invenzione poetica, un surrogato affettivo dell’io, una interlocutrice immaginaria e inventata (che si metamorfizzerà nella Donna ideale, in Silvia, Nerina, Aspasia), filtrata attraverso i modelli letterari, soprattutto Tasso, Virgilio e Saffo.
[i]Gli astri intorno alla bella Luna
nascondono ancora il volto di luce
quando nel plenilunio si rischiara
tutta la terra.
La Luna dalle rosee dita
offusca ogni stella, e si dilata
la luce sul mare salmastro
e sui mille fiori delle pianure.
Cade la bella rugiada…
E’ tramontata la Luna
e le Pleiadi. E’ mezzanotte,
il tempo trascorre
e io dormo sola.
[/i]
“[i]La sera del dì di festa[/i]“ del 1820 trasforma l’incipit con la sua luna in una ninna nanna che illumina tutto un mondo intimo.
[i]Dolce e chiara è la notte e senza vento
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna e di lontan rivela
serena ogni montagna. [/i]
Ne [i]La vita solitaria[/i], composta nello stesso anno, sembra di assistere come ad una riappacificazione tra il poeta e la luna.
[i]O cara luna, al cui tranquillo raggio
danzan le lepri nelle selve; e duolsi
la mattina il cacciator, che trova
l’orme intricate e false; e dai covili
error vario lo svia; salve, o benigna
delle notti reina.
[/i]
{{*ExtraImg_219716_ArtImgRight_300x199_}}Dopo aver affermato che «[i]infesto scende/ il raggio[/i]», «[i]il bianco (livido) lume[/i]» suo sul ladro, sull’adultero e sulle menti malvagie, così continua:
[i]a me sempre benigno il tuo cospetto
sarà per queste piagge, ove non altro
che lieti colli e spaziosi campi
m’apri alla vista. Ed ancor io soleva,
bench’innocente io fossi, il tuo vezzoso
raggio accusar negli abitati lochi,
quand’ei m’offriva al guardo umano, e quando
scopriva umani aspetti al guardo mio.
Or sempre loderollo, o ch’io ti miri
veleggiar tra le nubi, o che serena
dominatrice dell’etereo campo,
questa flebil riguardi umana sede.
Me spesso rivedrai solingo e muto
errar pe’ boschi e per le verdi rive,
o seder sovra l’erbe, assai contento
se core o lena a sospirar m’avanza.
[/i]
LEGGI LA PRIMA PUNTATA:
[url”LA LUNA DEI LUNATICI E ALTRE LUNE”]http://ilcapoluogo.globalist.it/Detail_News_Display?ID=109107&typeb=4&Loid=153&La-luna-dei-lunatici-e-altre-lune[/url]
LEGGI LA SECONDA PUNTATA:
[url”NOVELLE SULLA MITOLOGIA LUNARE”]http://ilcapoluogo.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=109398&typeb=0[/url]
LEGGI LA TERZA PUNTATA:
[url”MITI LUNARI”]http://ilcapoluogo.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=109688&typeb=0[/url]
LEGGI LA QUARTA PUNTATA:
[url”POETI D’ORIENTE, PRIMA PARTE”]http://ilcapoluogo.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=110187&typeb=0[/url]
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