
di Valter Marcone
Quando perlustriamo territori astratti – spiagge prive di mare, riviere introvabili, plaghe senza la minima parvenza di riconoscibilità – sembra che ne usciamo con la sensazione di una sconfitta o di una resa. Quando siamo messi di fronte all’assenza di una geografia o immersi nell’avarizia di parole, immagini e suoni, allora siamo in un sogno. Quello è il momento del sogno, anche se poi, in realtà, è il modo in cui ricordiamo quello che abbiamo sognato. Strade, città, paesaggi, situazioni si intuiscono, ma solo per assenza. Sono uno spazio evanescente. Tentare di ricostruire il sogno a volte ci aiuta ad allontanare la sensazione di smarrimento, perché ci restituisce, seppure in altra forma vita a frammenti, vissuta o non vissuta, i suoi perché, i suoi dubbi e le sue certezze, vicine o lontane nel tempo. Con il passo del giorno, del quotidiano, il sogno ci aiuta, però, tra utopie negate e schegge di attesa, a restituirci una volontà di vita: quella che serve per continuare a sognare anche da svegli.
Ogni giorno mi metto a cercare
Ogni giorno mi metto a cercare
il nome latino
di ogni pianta
lungo i sentieri di questi campi
ad ovest della tenerezza
dei colori dei fiori
dei profumi, delle carezze,
del sole.
Poi non so decidermi
se odora più di timo
o di rosmarino
il mio pensiero di te
oggi che faccio attenzione
al ricordo d’un sogno
e del suo verde profondo,
il verde dove ho ritrovato te.
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