Occhio per occhio

24 ottobre 2014 | 15:49
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Occhio per occhio

di Valter Marcone

Papa Francesco nel ricevere in udienza, giovedì scorso, una delegazione dell’Associazione Internazionale di diritto penale ha implacabilmente e duramente richiamato l’attenzione sì sulla corruzione, ma anche sulla pena di morte e sull’ergastolo. Equiparando tra l’altro quest’ultimo ad una pena di morte “nascosta”. Nello stesso discorso ha fatto riferimento alla custodia cautelare, ovvero alla carcerazione preventiva, scongiurando l’ipotesi che diventi, all’eccesso, un anticipo di pena.

E’ stato quello di Papa Francesco, che ha anche auspicato la chiusura dei carceri minorili, un discorso, come lo definisce Luigi Manconi, “[i]contro il populismo penale, ovvero l’idea della sanzione come vendetta che utilizza la pena per affrontare le contraddizioni della vita sociale[/i]“. Un ragionamento di straordinaria modernità.

Proprio nella modernità sta il senso di quel fermento di idee, di prese di posizione, di speranze e di concreto lavoro da parte dell’opinione pubblica mondiale e di associazioni tra cui Amnesty per l’abolizione della pena di morte.

Anche IlCapoluogo ha aderito, dandone un breve annuncio nei giorni scorsi, alla Giornata mondiale per l’abolizione della pena di morte. Pena di morte che viene messa all’attenzione mondiale almeno un giorno all’anno. E proprio la settimana scorsa si è celebrata dunque la XII Giornata mondiale contro la pena di morte.

Per tale giornata Amnesty International e la Coalizione mondiale contro la pena di morte hanno voluto mettere in evidenza l’uso della pena capitale nei confronti delle persone con disabilità mentale e intellettiva. Ancora oggi, in tutto il mondo, persone con disabilità mentale e intellettiva continuano ad essere messe a morte, in evidente violazione degli standard internazionali. Gli standard internazionali stabiliscono che le persone che soffrono di disabilità mentale e intellettiva non devono subire questa sanzione estrema. Tuttavia, in molti casi, tale condizione non viene accertata durante il procedimento penale. Gli standard internazionali sulla disabilità mentale e intellettiva, pur essendo importanti salvaguardie a tutela di persone vulnerabili, non hanno però lo scopo di giustificare crimini orrendi ma stabiliscono dei criteri in base ai quali la pena di morte può essere o meno inflitta.

Tutti ricorderanno il film L’ultimo miglio che racconta la vita di un condannato a morte proprio in quello spazio fisico e psicologico che è l’anticamera del luogo in cui sarà eseguita appunto la condanna della pena di morte. Un’opera interessante e ricca di partecipazione ai problemi di questa particolare condizione. Che è quella di {{*ExtraImg_221111_ArtImgRight_300x257_}}Hakamada Iwao, 78 anni, di cui 45 trascorsi nel braccio della morte, in Giappone. A marzo 2014, dopo un test del Dna, è stato rilasciato in vista di un nuovo processo, ma la procura generale giapponese ha presentato un ricorso contro questa decisione. Hamakada Iwao era stato arrestato e accusato di omicidio nel 1966. Secondo l’accusa, il 30 giugno di quell’anno aveva accoltellato il proprietario della fabbrica dove lavorava e tre familiari della vittima.

Era stato interrogato dalla polizia per 23 giorni di seguito, anche per 12 ore, mentre veniva minacciato e picchiato e senza un avvocato, e poi condannato a morte l’11 settembre 1968. Nel corso del processo, aveva denunciato che la polizia gli aveva estorto la confessione con la forza. In isolamento nel braccio della morte, Hakamada Iwao ha cominciato ben presto a manifestare segni di squilibrio mentale e comportamentale. Nel 2007 gli è stata diagnosticata l’infermità mentale. Il Giappone non commuta condanne a morte dal 1975. Quella di Iwao potrebbe essere la volta buona.

{{*ExtraImg_221112_ArtImgRight_300x451_}}In occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte, Amnesty International ha denunciato, dunque, che gli stati continuano a mettere a morte persone con disabilità mentale e intellettiva, in evidente violazione degli standard internazionali. L’organizzazione per i diritti umani ha documentato casi di persone con tali forme di disabilità condannate o già messe a morte in paesi quali Giappone, Pakistan e Stati Uniti. Se questi paesi non riformeranno i loro sistemi di giustizia penale, molte altre persone rischieranno l’esecuzione.

Audrey Gaughran, direttrice del programma Temi globali di Amnesty International ha dichiarato: “[i]Siamo contrari alla pena di morte in ogni circostanza, in quanto è l’estrema punizione crudele, disumana e degradante. Ma nei paesi che ancora ne fanno uso gli standard internazionali, compresi quelli che la vietano nei confronti di determinate categorie di persone vulnerabili, devono essere rispettati, in vista dell’abolizione definitiva[/i]”. Amnesty chiede a questo proposito che “[i]i paesi che ancora ricorrono alla pena capitale devono assicurare che vi siano risorse per svolgere valutazioni indipendenti e rigorose su chiunque rischi la pena di morte, dal momento in cui viene incriminato fino alla fase successiva alla sentenza[/i]”. “[i]Chiediamo ai governi di tutti i paesi che ancora usano la pena di morte di istituire immediatamente una moratoria sulle esecuzioni come primo passo verso l’abolizione. Quello che mettiamo in luce oggi è un altro esempio dell’ingiustizia della pena di morte[/i]”.

I casi che seguono illustrano il modo in cui la pena di morte è usata nei confronti di persone con disabilità mentale e intellettiva.

Negli Usa, Askari Abdullah Muhammad è stato messo a morte il 7 gennaio 2014 in Florida per un omicidio commesso in carcere nel 1980. Aveva una lunga storia di malattia mentale e gli era stata diagnosticata una schizofrenia paranoide. Il 9 aprile, il cittadino messicano Ramiro Hernandez Llanas è stato messo a morte in Texas nonostante sei successivi test sul quoziente intellettivo avessero dimostrato la sua disabilità intellettiva e dunque l’incostituzionalità della sua condanna a morte. In Florida, Frank Walls e Michael Zack, due condannati a morte con gravi traumi mentali, hanno esaurito tutti gli appelli contro l’esecuzione.

In Giappone, molti prigionieri sofferenti per malattie mentali sono stati già impiccati, altri rimangono nel braccio della morte. Hakamada Iwao, 78 anni, condannato a morte per omicidio nel 1968 al termine di un processo iniquo, è la persona che ha trascorso il più lungo periodo di tempo nel braccio della morte, 45 anni. Durante decenni di isolamento completo, ha sviluppato numerosi e gravi problemi di salute mentale. È stato rilasciato provvisoriamente nel marzo 2014 in vista di un possibile nuovo processo. Matsumoto Kanji è nel braccio della morte dal 1993 e, sebbene i suoi avvocati stiano chiedendo un nuovo processo, potrebbe essere impiccato in ogni momento: ha sviluppato disabilità mentale a seguito di avvelenamento da mercurio e appare paranoico e incoerente a seguito della malattia mentale sviluppata durante la detenzione. In Pakistan, Mohammad Ashgar, diagnosticato schizofrenico paranoide nel 2010 nel Regno Unito e da qui rinviato in Pakistan, è stato condannato a morte nel 2014 per blasfemia.

{{*ExtraImg_221115_ArtImgRight_300x228_}}L’Associazione “Nessuno tocchi Caino”, in collaborazione con il parlamentare europeo Louis Michel, ha presentato la versione inglese del Rapporto 2014 sulla pena di morte nel mondo. L’evento si è svolto a Bruxelles il 14 ottobre 2014 al Parlamento europeo. “Nessuno tocchi Caino” ha dedicato la Giornata mondiale contro la pena di morte all’Africa.

“[i]Nel continente africano sono avvenuti i fatti più significativi sul fronte della pena di morte negli ultimi anni con l’abolizione in Rwanda, Burundi, Gabon, Togo e Benin. Soprattutto per quanto riguarda i primi due Paesi, la fine della pena capitale ha avuto uno straordinario valore simbolico, oltre che politico e giuridico, essendo territori in cui la perenne catena di vendetta e l’eterna storia di Caino e Abele hanno avuto la rappresentazione più tragica[/i]”, ha detto Sergio D’Elia, segretario di ‘Nessuno tocchi Caino’. “[i]L’Africa[/i] – ha continuato D’Elia – [i]è il continente in cui si concentra il maggior numero di Paesi di fatto abolizionisti che potrebbero quindi passare ad un voto a favore della prossima Risoluzione Onu per la Moratoria universale delle esecuzioni e all’abolizione[/i]”. Per questo, ed in vista delle missioni che l’Associazione radicale farà nel prossimo mese in Paesi africani (Niger, Guinea Equatoriale, Zambia Zimbabwe, Comore e Tanzania) ha chiesto sostegno alla Risoluzione ONU, il 14 ottobre al Parlamento Europeo.

La campagna per la moratoria ONU è partita dall’Italia su impulso di “Nessuno tocchi Caino” e del Partito Radicale. Nel 1994, per la prima volta, una risoluzione fu presentata all’Assemblea Generale dell’ONU dal Governo italiano. Perse per otto voti. Dal 1997 su iniziativa italiana e dal 1999 su iniziativa europea, la Commissione dell’ONU per i Diritti Umani ha approvato ogni anno una risoluzione che chiede “[i]una moratoria delle esecuzioni capitali, in vista della completa abolizione della pena di morte[/i]”. Nel frattempo, dal ’94 ad oggi, 45 paesi sono passati dal fronte dei mantenitori a quello dei paesi che non praticano più la pena di morte. L’abolizione non può infatti essere imposta per decreto, mentre la moratoria può essere il luogo di incontro tra paesi mantenitori e paesi abolizionisti: gli uni farebbero un passo in avanti verso l’abolizione, gli altri riuscirebbero a salvare migliaia di vite umane. E l’esperienza ci dimostra che dopo alcuni anni di moratoria difficilmente si torna indietro, spesso si procede verso la completa abolizione.

E piace ricordare qui anche l’impegno di letterati, scrittori e romanzieri come Raffaele La Capria, Adriano Sofri ma anche Fernando Savater e Gore Vidal e Sandro Veronesi con il suo “Occhio per occhio“, premi Nobel e artisti che hanno sentito l’esigenza di affrontare il tema della pena capitale da un punto di vista narrativo proprio perché quando la politica sa affrontare i temi dell’umanità è destinata ad incontrarsi con tutti coloro che li pongono al centro della loro attenzione.

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