L’Agricoltura morta risorge ad Avezzano

25 ottobre 2014 | 17:26
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L’Agricoltura morta risorge ad Avezzano

di Gioia Chiostri

Dal 1950 al 2014, le candele accese per i morti nell’Agricoltura hanno goduto di una fiamma della memoria invisibile. Ieri, il fuoco del ricordo di chi morì lavorando, ha riscaldato l’Abruzzo intero, come faro finalmente trasparente e loquacemente rigenerativo. Un calore non vacuo, quindi, ma saggiamente ispiratore. E’ stata indetta, per volontà della Regione Abruzzo, la prima Giornata della memoria in onore di chi perse la vita nei campi agricoli e rurali. Ieri mattina, nella verde cornice del ritrovato e ristrutturato Parco Ex Arssa di Avezzano, istituzioni politiche, cittadini, giornalisti e studenti dell’Istituto tecnico agrario della città di Avezzano, si sono dati appuntamento all’ombra del grande albero della redenzione. Una giornata spuntata all’alba normalmente, ma divenuta qualcosa di più nel segno del ricordo nero trasformato in lutto funzionale, utile al progresso sensitivo ed affatto occasionale della società.

Simbolo del giorno del ricordo dei morti mai invano, l’Eccidio di Celano, avvenuto il 30 aprile del 1950, nel quale persero la vita, fucilati prima di tutto dalla padronanza e dall’ignoranza altrui, due contadini marsicani. La sera del 30 aprile di quell’anno, infatti, in piazza, a Celano, i volti dei lavoratori dipingevano un’atmosfera nuova. Nella casa comunale affacciata sulla piazza, si svolgevano i lavori della Commissione per il collocamento: si stavano stabilendo i turni di lavoro per i braccianti che sarebbero stati impiegati il 2 maggio nel Fucino, in conseguenza della lotta vinta condotta contro il principe Torlonia, il ‘padrone’ dei campi e del lavoro agricolo. I braccianti avevano ottenuto il giusto riconoscimento e compenso per il loro duro lavoro attraverso il noto ‘sciopero alla rovescia’: i lavoratori scesero dai centri abitati alla piana e lavorarono alle opere di manutenzione delle strade e dei canali di irrigazione. La protesta ebbe successo e Torlonia fu costretto ad impegnarsi a pagare 350 mila giornate di lavoro. Correvano i giorni delle lotte contadine, ma l’acerrimo volto dello [i]status quo[/i] macinò due vittime, oggi veri e propri martiri, quali Antonio Berardicurti e Augostino Paris.

Troppi i silenzi che, anno dopo anno, hanno tempestato i campi di grano e di colture varie. Tante le anime perse e mai più ritrovate. Di fronte ad una numerosa platea, ieri, si è dato sfogo proprio al silenzio delle morti bianche nel mondo degli agricoli. Recente, per quanto riguarda la comunità marsicana, la perdita di un lavoratore giovanissimo, quale Emilio Bisciardi, di Luco dei Marsi, morto all’età di soli 22 anni proprio nell’atto del suo lavoro giornaliero. Il pensiero della politica, ieri, si è acceso per lui e per i suoi colleghi spirati nella pratica quotidiana del vivere e sopravvivere. Presente, l’assessore alle Politiche agricole della Regione Abruzzo, Dino Pepe, che ha salutato gli astanti omaggiando il lavoro nei campi e chi quotidianamente, giorno dopo giorno, lo cresce e lo alleva. La giornata, nata non con il volto di un convegno, ma con il fregio di un evento istituzionale, si riallaccia alla legge regionale del 30 settembre del 2013, in cui, all’articolo 1, viene rivendicata proprio questa attenzione che la Regione riconosce alla realtà rurale per la grande valenza che ha, tutt’oggi, in termini economici e culturali.

{{*ExtraImg_221219_ArtImgCenter_500x373_}}La scelta di organizzare un evento di spessore morale e funzionale del genere nel Parco ex Arssa di Avezzano, quindi in una sede decentrata, nasce dalla volontà tutta regionale di «una più stretta vicinanza con i territori. Avezzano è culla della pianura fertile e produttiva del Fucino e l’agricoltura è la sua più esauriente linfa vitale – ha affermato Pepe – la Giornata della memoria dei caduti nei campi dell’Agricoltura è dedicata e rivolta soprattutto ai giovani: loro infatti sono le sentinelle della prevenzione che potrà esserci nel domani, se vi saranno oggi le condizioni di crescita giuste. La nuova Giunta sta seguendo con dedizione il PSR uscente – ossia la gestione dei conti comunitari 2007/13 – lavorando intensamente sul Piano di Sviluppo Rurale per via di una serie di problemi venuti a galla in maniera allarmante, come quello del disimpegno. Si rischia, cioè, di rimandare a Bruxelles alcuni fondi comunitari che la Regione ha a disposizione. Purtroppo ritardi nella gestione di questo fondo e dei bandi relativi, molti dei quali sono scaduti a luglio 2014, renderanno difficilissima questa operazione. Ci stiamo impegnando giorno dopo giorno in maniera forte e determinata assieme alle associazioni di categoria e agli operatori e attori del territorio per evitare ciò. Nel frattempo – ha aggiunto Pepe – stiamo predisponendo le ultime linee del nuovo PSR 2014/20; avremmo a disposizione 432 milioni di euro da investire. Le settimane correnti sono fondamentali per una buona programmazione. Dobbiamo essere in grado di polverizzare le somme messe a nostra disposizione e saper programmare le risorse affinché esse possano bersagliare i problemi legali al mondo dell’Agricoltura. Tra gli interventi voluti, quelli riguardanti la prevenzione: fulmine, talvolta, a ciel sereno nella realtà contadina».

La quotidianità della vita agricola, infatti, è una lotta che va affrontata dal sorgere del sole sino al suo fosco tramonto. Il presidente della Commissione regionale dell’Agricoltura, Lorenzo Berardinetti, ha affermato: «Questa giornata affronta un tema molto importante per il nostro territorio, ossia la sicurezza sul luogo di lavoro. Molti i ragazzi che cercano di riscoprire il valore della terra, impegnati al fianco di altri agricoltori per portare sulle tavole degli italiani gli ortaggi del nostro Fucino. Essi, però, sono esposti ad una serie di rischi. Una sequela di casualità che può essere fatale, molto spesso. I giovani volenterosi come Emilio Bisciardi, ad esempio, purtroppo recentemente scomparso, sono sempre meno e sempre in pericolo. Coloro che amano il lavoro nei campi non sono più gli italiani, in questo caso gli avezzanesi, ma gli extracomunitari, portatori di un grande sogno sulle spalle, molto spesso infranto non appena mettono piede sulla nostra terra. Molti pagano migliaia di euro per un posto di lavoro che non esiste. Quando arrivano nella Marsica, purtroppo, sono costretti a subire, il più delle volte, un contratto di occupazione affatto regolare e una paga non degna se posta sul piatto della bilancia del lavoro effettivamente svolto. Spesse volte poi, questa loro costrizione e costernazione va a ripiegarsi su strade diverse, come lo spaccio di sostanze stupefacenti o la nera criminalità, loro malgrado. Perciò ben venga una giornata dedicata ai lavoratori di un tempo che lottarono per i diritti di oggi. Una comunità per resistere, infatti, ha bisogno di memorie e di passato: essi racchiudono i dati distintivi della propria appartenenza ad una comunità. Conoscere il passato è la chiave di lettura per conoscere il presente ed interpretare il futuro».

«La riforma agraria che scaturì da quel periodo nero e rosso di lotte contadine, – ha continuato Berardinetti – fra cui anche quella che ebbe luogo nella piazza celanese, fu il succo e l’essenza del diritto del lavoratore. Nel Fucino il padrone si chiamava Torlonia e la dolorosa schiavitù alla quale egli costringeva i lavoratori è stata già raccontata e denunciata in tutto il mondo da Silone in ‘Fontamara’. I contadini, stufi, furono attuatori allora di uno sciopero alla rovescia; quella sera, in piazza, qualcuno sparò per vendetta. Ci furono due morti: Agostino Paris e Antonio Berardicurti e 12 feriti. A distanza di tanti anni, questa pagina di storia insegna: oggi, nel Fucino, esistono ancora i braccianti, anche se avvinghiati da nuove emergenze. Ancora oggi c’è la schiavitù della terra. Io mi farò carico personalmente di promuovere un’istanza al Presidente della Repubblica per il conferimento al gonfalone del Comune di Celano della Medaglia d’oro al Valore civile, gesto ovviamente simbolico che a distanza di 65 anni, vale, a mio avviso, come giusto riconoscimento morale di un’azione eroica compiuta da due contadini qualunque, ma divenuti, in una notte, le anime riassuntive di anni e anni di lotta contro i soprusi dei padroni. La precarietà del lavoro costringe alla precarietà della vita anche in un territorio così ricco come la Marsica. Lo sfruttamento della manodopera si alimenta della tratta di esseri umani che porta, nella nostra Regione, un esercito di invisibili che sono ostaggio di organizzazione di tipo criminale: parliamo di una vera e propria emergenza, una battaglia della civiltà che deve essere affrontata oggi più che mai. Tutti dobbiamo fare in modo di sconfiggere questa ombra malvagia. Lo possiamo fare assieme con le nostre forze lottando uniti: istituzioni, associazioni e sindacati assieme».

Parole rivolte ai giovani presenti, quelle del Presidente del Consiglio regionale, Giuseppe Di Pangrazio, dense di significato, di futuro e di azione. «Oggi si è dimostrata una grande sensibilità, ad Avezzano. Le associazioni sindacali sono sempre presenti e sempre attive quando si parla di occupazione tumefatta. La presidenza del Consiglio ha voluto organizzare questo evento per alzare una voce e un monito, dedicato a chi vive e vivrà del bene più immediatamente soddisfacente che ci sia nel mondo lavorativo, la terra. I giovani devono essere messi in condizione tale da poter aiutare la crescita dei settori produttivi. Io mi impegno a sottoscrivere con l’Inail un protocollo d’intesa riguardante borse di studio rivolte agli alunni degli istituti tecnici agrari frequentanti gli ultimi anni da poter essere messe a frutto in aziende agricole, sul lato della prevenzione. Tutto sotto l’ala protettiva e formativa delle Università, ovviamente. Istituiremo il prima possibile un tavolo tecnico regionale a tal proposito, con i vertici dell’Inail e le associazioni di categoria per rendere attuativa questa questione».

L’agricoltura è anche, però, un dado dalle facce molto distanti e disambiguate fra di loro. E’, in Abruzzo, il settore produttivo più cavalcante ma, al contempo, anche quello costellato dal maggior rischio di infortunio. Le cause, ovviamente, vanno ricercate sia nella peculiarità del lavoro agricolo e dell’allevamento, caratterizzato dall’impiego di macchine sofisticate e potenti o dall’utilizzo di prodotti non sempre innocui alla salute, sia dalla scarsa cultura della sicurezza che caratterizza il settore. «L’anno più clamoroso è il 2009: in soli 365 giorni, sono raddoppiate le segnalazioni di infortuni, facendo registrare aumenti eccezionali anche nei due anni successivi. Record di denunce di malattie professionali nel 2012, al di sopra dei dati del 2010». Da questa presa di coscienza attuale, nasce oggi il monito dell’importanza della sicurezza sul luogo di lavoro dell’agricoltura. «E’ la sicurezza che si identifica nelle tutele assicurative, diffuse grazie all’opera di sensibilizzazione attuata dagli operatori del settore, in prima fila l’Inail, rappresentato in conferenza, in un contesto caratterizzato dal fenomeno delle sottodenunce. Punto di svolta per quanto concerne i rischi in agricoltura, è il Decreto Ministeriale del 9/4/2008, che ha inserito in tabella le principali malattie muscolo-scheletriche da sovraccarico biomeccanico e movimenti ripetuti, facilitandone in questo modo il riconoscimento».

E’ la cultura della prevenzione quella che scotta nei tempi recenti. I direttori, regionale e provinciale dell’Inail, segnatamente Enrico Susi e Antonello Maraldo, hanno illustrato in maniera precisa e puntuale i rischi nei quali incorono gli agricoltori di oggi. «L’Inail sta cercando di mostrare la realtà degli infortuni in maniera diversa; sono vent’anni che il concetto di prevenzione sta scalzando quello di fatalità. Studiare le fatalità accadute nel mondo dell’agricoltura del passato, consente di prevenire e quindi di evitare rischi e danni futuri. L’Inail è l’ente che raccoglie i dati e li interpreta affinché il futuro possa, in un certo qual modo, apparire più tutelato. E’ un circolo virtuoso quello affrontato: la lotta all’infortunio e alle malattie tradizionali è un qualcosa che è indissolubilmente legato alla qualità della produzione. Questa consente di avere un prodotto che ha successo. L’Abruzzo è, ad oggi, la più grande cantina d’Italia, regione imbattuta dal punto di vista agricolo e culinario. L’appello che l’assessore Pepe ci ha fatto, cioè sulla necessità di intraprendere attività soprattutto formative, legate alla qualità della produzione e alla prevenzione, noi lo abbiamo raccolto. La nostra idea è quella di rivolgerci proprio agli studenti finali delle scuole agrarie d’Abruzzo e di proporre loro delle borse di studio: un finanziamento di mesi di attività, concentrate durante l’estate o nel periodo successivo al diploma, mirante, attraverso l’appoggio delle Università e delle associazioni datoriali del mondo agricolo, ad un’attività di frequentazione delle aziende finalizzata alla sicurezza. Noi vogliamo creare un corpo di consulenti e persone (studenti, tecnici e tutoraggio della facoltà della Scienza Agraria dell’Università di Teramo) per creare delle visite di consulenza, delle check list in breve, da espletare sulle nostre terre. Il territorio del Fucino si presta in maniera molto buona ai fini di questa impresa. Le scuole e gli studenti potrebbero, in questo senso, unire il lavoro allo studio. Una maniera per coronare un ciclo di studi di modo che, per la prima volta, possano entrare senza problemi nel mondo del lavoro agricolo».

Parole chiare e trasparenti, invece, quelle del vescovo Santoro, legate all’anima mai dimenticata dei caduti sul campo verde, illuminate dalla luce sempreverde e calda della solidarietà. «Avezzano, la Marsica e l’Abruzzo sono luoghi di per sé legati alla cultura e alla spiritualità agricola. Nel mio ruolo, non tecnico, desidero manifestare quel brevissimo messaggio che i vescovi italiani hanno dedicato al mondo dell’agricoltura: domenica prossima sarà, infatti, la giornata del ringraziamento dei beni della Terra. Quello lanciato dal vescovato, è un messaggio articolato e di prospettive molto larghe: si parla del sistema agricolo contemporaneo. Vi si apprende che la giusta ricerca della remunerazione del lavoro dovrebbe intrecciarsi con la solidarietà, l’attenzione per i poveri e la lotta contro lo spreco, il tutto filtrato da un’attiva custodia della terra. Si tratta di operare per dare forma ad un sistema agricolo che dia corpo ad un modello di produzione agricolo che stia attento alla qualità e alla salvaguardia dei terreni in modo da garantire effettiva sopravvivenza. La terra va custodita come un vero e proprio bene comune. Questa giornata è illuminante e carica di istanze; un dato è certo: non dobbiamo essere anche noi vittime delle statistiche perché anche un solo morto è una tragedia; dietro a un volto che si spegne c’è una vita, una famiglia, una persona». La sorella della morte, poi, è la malattia: altra piaga spinosa dei campi rurali. «Ma il dramma vero di oggi, si configura anche con i prezzi agricoli: adesso sono davvero alla mercé di un mercato speculativo; alcune catene di distribuzione poi sono altamente inquinate. Mi viene da dire che morte, allora, è anche il calpestamento della dignità del lavoratore, poiché, quando non viene rispettato nella sua dignità, muore la persona umana. Dentro questa dimensione, c’è uno strano silenzio da un po’ di tempo a questa parte anche da parte di chi dovrebbe parlare sulla non tutela della dignità e della modalità di ingresso e di permanenza dei lavoratori extracomunitari. Il silenzio è strano e la cosa non mi piace. La diocesi dei Marsi organizzerà a breve un convegno sui temi del lavoro e della legalità, dove, credo che se ne sentiranno delle belle».

L’eccidio del 30 aprile del 1950 di Celano ha contribuito a rendere più libera questa terra. Lo sguardo di chi stette, quella sera maledetta, in piazza, accanto agli spiriti morti di chi lottava per il fatidico pezzo di pane giornaliero, è stato riacceso dagli occhi di uno spiraglio di futuro. Posti sullo stesso piano, le parole energiche di un ribelle di ieri con quelle altrettanto forti e scattanti di un ribelle di oggi – dato che buio fu e buio è, ma forse non sarà – hanno davvero fatto da cornice ad una giornata simbolicamente eccezionale. Cristian Rocchi, frequentante la classe V A dell’Istituto tecnico agrario di Avezzano, ha stupito i presenti con la sua presa di posizione ragionata e corpulenta, visto l’argomento e l’appello in essa stampati a chiare lettere. «I giovani meritano più attenzione – ha detto, rivolgendosi ai presenti – come dice sempre il nostro insegnante, la terra è un bene comune che le generazioni attuali hanno preso in prestito e che devono restituire prima o poi alle generazioni future, cioè noi, i giovani di oggi. Ma la restituzione deve esse tale che i giovani possano utilizzare la terra e non sfruttarla. Noi preghiamo, quindi, le aziende attive sul nostro territorio di renderci partecipi della crescita e dello sviluppo dei campi che sono tesoro di tutti. L’agricoltura, la sicurezza, la prevenzione: noi vogliamo essere solo utili, nient’altro».

Il fuoco giovane di oggi posto in paragone a quello altrettanto attivo di ieri. L’avvocato Cantelmi, dirigente in quell’anno nero dell’Eccidio, di un’importante organizzazione politica, si trovò coinvolto nel fatto luttuoso. Protagonista in parte dell’azione truculenta e testimone della crudeltà fatta legge e dell’indifferenza giunta dall’alto, ha commemorato ieri la sua giovinezza che visse quell’attimo di sangue, proponendo un progetto di studio sull’importanza che ebbe quella macchia cruda di storia ai fini del raggiungimento dei diritti e della libertà dei lavoratori agricoli. «I giovani – ha detto – non devono limitarsi a chiedere soltanto: la richiesta è espressione di un desiderio, ma è necessario impegnarsi seriamente per poter diventare la classe dirigente del domani. La medaglia al valore civile consegnatami oggi, onora tutta la Marsica».

«I giovani – ha poi detto – devono impegnarsi seriamente nello studio per poter conquistare quegli obiettivi che vengono fuori dall’invocazione di Cristian, ad esempio. Un’invocazione necessaria che va innaffiata continuamente, per poter dire, un giorno: io non sono stato uno spettatore della vita che corre, ma un suo attore protagonista, che ha lavorato e si è sacrificato per ottenere il benessere generale della società. Smettiamola di pensare che i responsabili siano sempre gli altri».

{{*ExtraImg_221218_ArtImgCenter_500x373_}}L’agricoltura è una stele di Rosetta: oggi più che mai. Mille e forse più le lingue che ne parlano a gran voce, descrivendola come matura, florida, traghettante, economicamente positiva e propositiva. Cosa si fa, però, agli atti, per essa? Il presidente del Consiglio regionale, Di Pangrazio, si è reso difensore di una promessa: «L’eccidio di Celano, con tutto il lutto e il disastro che ne è derivato sarà oggetto di uno studio. Lanceremo una borsa di studio della ricerca per stabilire se quel fatto luttuosissimo non sia stato determinante in quel periodo storico ai fini della realizzazione della riforma agraria nel Fucino. Essa fu la prima pietra di un diverso, lontano dalla miseria fanciulla di ieri. La presidenza del Consiglio della Regione Abruzzo si impegna in tal senso». I consiglieri del comune di Celano Cantelmi, Di Stefano, Frigioni, Ciaccia e il presidente dell’Associazione ‘30 aprile 1950’, Ermanno Natalini, hanno ritirato, per concludere simbolicamente l’evento dedicato alle anime assopite nel mondo agricolo, dalle mani del presidente Di Pangrazio e del consigliere Berardinetti, la targa commemorativa dell’Eccidio celanese. Due martiri redenti, ieri, grazie alla volontà vecchia di 65 anni, rimasta però giovane nel ricordo. La morte non è mai inutile, ma trattasi di una stagione brevissima e azzannante che chiude un ciclo, aprendone, con forza e costanza di vita, un altro. [i]‘La fede li unì, la morte li fuse e il ricordo dei compagni li eterna’[/i]: questo il distico inciso sulla lapide posta nel cimitero celanese in onore di due attori della vita marsicana, che non seppero restare spettatori indifferenti quando il fango fu troppo e la vita un assaporato e lontanissimo sogno.

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