Storia del signor D.

30 ottobre 2014 | 10:11
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Storia del signor D.

di Raffaella De Nicola

Lo rivedo dopo tanti anni. E’ invecchiato. All’inizio pacche e banalità [i]tuo padre, mia moglie, i figli, tuo marito, i casini[/i], e la voce che rivela una calma solo recitata. Gira l’ennesimo caffè, meccanicamente, e la tenda del sipario piano piano si scosta dalle formalità, macchiando la parete bianca con spruzzi di pensieri che schizzano nell’aria grovigli impazziti.

Guardo le sue mani, gli sto accartocciando le dita all’indietro: siamo fuori il Liceo Scientifico, ora, e siamo giovani, mi dà una spallata [i]“Non si mena alle donne” [/i], urlo, “[i]ah ffii?” [/i], fa lui, [i] “E dove ffarebbero le donne?”(si è appena rotto un dente e fischia la s. Poi se lo farà aggiustare[/i]). Lì, in quel momento, il suo stinco tritato dal mio piede, le s che sibilano, l’anno zero di hunger games, il suo sguardo guascone che ci faceva impazzire, si avvia la comitiva, le gite al lago di Bagno, i motorini, i calzoni della pizzeria San Pietro, a cui dedicammo, giustamente, un canto del paradiso, Ugo Foscolo declamato con le formule chimiche, la neve magnifica che cade sulle nostre attese. I soldi mancano per laurearsi, è intelligente, ci riesce lo stesso, la stanza è squallida, niente cinema oggi, studio in biblioteca che lì almeno fa caldo, cappero come nevica, ci si diverte però, no devo lavorare dalle 8 alle 8 anche domani, [i] “ma è domenicaa!” [/i] le prime commissioni, le riunioni interminabili, problemi su problemi e soluzioni che trivellano le nottate, la vita che comincia a girare sul perno di una progettualità firmata dallo studio che si avvia, finalmente, e l’atto finale: l’orribile targa di ottone. L’ho lasciato così, l’ultima volta che l’ho visto, 15 anni fa circa, e adesso me lo ritrovo di fronte, le rughe che cullano le sue preoccupazioni e questo terremoto, e questa crisi, che si tuffano nel caffè che stiamo prendendo, a sbrindellare le giornate.

E’ un uomo a pezzi, stanco, e nonostante il suo importante fatturato, è senza liquidità. [i] “C’è distanza dalle carte e la vita” [/i], tasse voraci, [i]“chiedo prestiti in banca per pagarle”[/i], strozzato da una burocrazia strozzina, da relazioni sempre più difficili, [i]“siamo tutti impazziti” [/i], crediti che non riesce a riscuotere e debiti che non può onorare se non con [i] “altri prestiti per pagare i miei dipendenti, un maggiordomo delle banche” [/i].

Conosco il suo codice deontologico, l’umiliazione che si è posata e indurita in lui, e so che è ferito a morte, “[i]sono offeso e a disagio”[/i], ostaggio di istituti creditizi favoriti a scapito dei cittadini [i], “non sei più una persona, sei solo un caso aritmetico-contabile” [/i], vettori direzionati in punti opposti: la vita reale che galleggia nell’incertezza [i]“e va di lì “[/i], alza un braccio e indica a destra, e le oscene politiche che non ti vedono, esigono solo numeri, come un cuneo che si gonfia e divarica e [i] “va dall’altra parte” [/i], e alza il braccio verso sinistra. Una spaccatura di fatto, distanze feroci [i] “come possono capire i nostri problemi con i loro interessi e guadagni?”[/i]

Caccia fuori l’implosione ed il giro si avvita sui Durc, difficile averli in regola[i] “se non mi pagano come posso pagare?” [/i] E l’avvitamento continua, si aggrava sempre di più, come questo sguardo cupo che non è suo, non gli appartiene, un’eutanasia telecomandata, non troppo dolce in realtà, dalle 8 alle 8 di ogni giorno in un’esistenza che sfugge sempre di più al controllo.

[i]”E’ la mia integrità che stanno scheggiando”[/i], il pensiero sprofonda nella tazzina del caffè, [i] “i conti non tornano mai, alla fine di ogni mese entro in ansia” [/i], sorseggia il caffè, [i]“ mi vergogno” [/i], come solo una persona per bene sa vergognarsi, ha una rassegnazione antica, [i]“le banche per anticipare mi chiedono il 14 %”[/i].

Si muove in un ambiente artico, lo vedo, è solo, congela il futuro con lame di ghiaccio che trafiggono la sua, ormai persa, verve. Paga i caffè e mi saluta. Lo trattengo per il gomito mentre la mia mano scivola nel vuoto del ragazzo che era, solido e tenace, senza più fischi nei denti, l’ombra del suo sguardo guascone, gli chiedo a bruciapelo [i] “cosa servirebbe?” [/i]

La mente frana, mi sembra di sentire i legami che si allentano, le energie spente, però mi guarda e dice, mentre va via armato solo di incertezze, [i]”dovrebbero smettere di prenderci per i fondelli, ci stanno tritando tutti”. [/i]

P.S. Un numero su tutti: 10.000 piccole e medie imprese fallite da inizio anno (Fonte: Business Information cervedgroup.com.)