
di Valter Marcone
Domanda: quanti satelliti ha la Terra? Risposta: uno. Come si chiama? Luna.
Dimentichiamo per un po’ questo colloquio che ci riporta agli anni di scuola perché, per essere al passo con i tempi, dobbiamo ora rispondere: la Terra ha cinque satelliti. Quindi la luna dei nostri studi giovanili ha quattro sorelle. L’ultima è stata avvistata da poco. Infatti il professor Farid Char dell’Università di Antofogasta, in Cile, ha individuato le tracce di un corpo tra quelli che si muovono rispetto allo sfondo di stelle fisse. E’ un piccolo asteroide del diametro di 100-200 metri chiamato, per ora, 2014-OL 339, che orbita intorno al nostro pianeta.
Altre “tre lune” erano state scoperte negli anni dal 2004 al 2013, definite “quasi satelliti” perché hanno strane traiettorie che non permetteranno loro di restare a farci compagnia ancora a lungo. Anche la traiettoria di 2014-OL339 è particolare, perché lo porta ad avere un’orbita molto allungata che al punto più lontano va oltre Marte e in quello più vicino a ridosso di Mercurio. Si avvicina alla terra a meno di 15 milioni di chilometri mentre la “vecchia” Luna arriva, come si sa, ai 384.400 chilometri di media.
Secondo i calcoli di Farida Char pare che 214-OL339 sia divenuto satellite della Terra ai tempi di Dante Alighieri, 775 anni fa e lo resterà per ancora soli 165 anni, dopo di che si libererà della gravitazione terrestre e schizzerà via come un “vagabondo dell’universo” in compagnia di altri asteroidi suoi pari.
L’affollamento di Lune attorno alla terra appare spettacolare e sicuramente giustifica l’attuale campagna russa per conquistare la luna. Quella però che vediamo ad occhio nudo ogni notte, quando il cielo è sereno.
Conquista che però muove una legittima domanda: a chi appartiene la luna?
Constantin Ciolkovskij, scrittore e scienziato vissuto nell’Ottocento, mentre i fratelli Wright stavano costruendo il primo aereo, già disegnava navi spaziali per conquistare la luna. Sosteneva che tale conquista avrebbe portato al perfezionamento dell’umanità e all’inizio di un’era felice. Ma se è di là da venire questa era felice di armonia dell’universo (un’utopia nel senso della parola, ossia dell’avverarsi di qualcosa che ancora non c’è) è concreta la collaborazione tra Stati Uniti d’America e Russia a proposito della stazione orbitante attorno alla Terra.
Tutti sapranno del recente insuccesso di un lancio della Nasa che doveva portare rifornimenti e materiali per esperimenti nella stazione, con equipaggi russi e americani, appunto orbitante attorno alla Terra. Insuccesso dovuto probabilmente al riuso di una tecnologia di un vettore russo da parte di un’azienda a cui la Nasa ha appaltato il compito (per il basso costo di quella tecnologia e dell’operazione intera). Ci si potrebbe preoccupare per i tempi del nuovo lancio dei rifornimenti, ma sarebbe vana preoccupazione perché appena dopo l’esito disastroso del lancio una Soyuz è partita appunto per portare gli stessi rifornimenti.
{{*ExtraImg_224033_ArtImgRight_300x240_}}Ma riprendiamo il discorso sulla Luna. Il suolo della Luna fu calpestato per la prima volta dagli americani del loro paese negli anni settanta dello scorso secolo con una fortunata missione Apollo. Era l’apice di una gara iniziata nel 1957 con il lancio dello Sputnik da parte dell’Unione Sovietica. Gli americani lasciarono sei bandiere su quel suolo che appaiono alle foto rigide per la mancanza di vento nei luoghi dello sbarco. Da allora si è discusso sulla proprietà della Luna e malgrado le bandiere americane, stando al documento del 1967, firmato da Usa, URSS e Gran Bretagna che nessuna nazione ha la sovranità sulla luna. Documento che, però, comincia ad essere messo in discussione, stando alla dichiarazione dell’ente spaziale russo Rosksmos. Tale agenzia, che è associata al mito immortale di Jurij Gagarin, il primo uomo lanciato nello spazio, ha di recente chiesto al Cremlino di rientrare in competizione per la conquista del suolo lunare. Si tratta di installarvi una base. Una competizione che, a dire il vero, sollecita anche altre potenze spaziali come la Cina, l’India, il Giappone e la stessa Europa.
Basi lunari permanenti per l’addestramento a lanci per raggiungere altri pianeti. Quello che sta, per così dire, dietro le quinte di questa gara è però un approccio pragmatico e un po’ meno retorico alla Luna. Ovvero lo sfruttamento delle risorse della Luna già a partire dal 2050. Ma di quali risorse si tratta? Si tratta di accaparrarsi di un tesoro come quello degli Inca al tempo della scoperta dell’America. Ossia l’isotopo 3 dell’elio, elemento rarissimo sulla Terra che è fondamentale nei processi di fusione nucleare. Una tonnellata di elio 3 equivale a venti milioni di tonnellate di petrolio. Vale a dire una fonte di energia eterna. Con la possibilità di costruire motori per veicoli stellari con propulsione atomica per raggiungere pianeti del sistema solare e viaggi in altre galassie magari alla ricerca di pianeta gemello della Terra. Facendo attenzione, si fa per dire, ai buchi neri.
Anche se un buco nero è sicuramente, per gli ambientalisti, appunto il progetto di estrazione dell’elio 3 dal suolo lunare. Scavare una cava a cielo aperto (un buco) di oltre 20 chilometri quadrati per tre metri di profondità. Né più né meno di quello che è stato fatto e si sta facendo nel nostro paese per le cave di materiali inerti e la trivellazione di pozzi per idrocarburi in molti paesi appunto della Terra (invertendo in questo ultimo caso le dimensioni: venti e più chilometri di profondità e tre metri di diametro).
Ecco perché i russi vorrebbero mettere il mondo dinanzi al fatto compiuto. Bandiere russe nell’area del Polo sud lunare, la migliore per ore di luce e per quantità di risorse sfruttabili.
A guardare la politica delle risorse energetiche dell’attuale Russia con il suo colosso del gas, Putin, anche se al momento tace, non può che essere consenziente.
{{*ExtraImg_224034_ArtImgRight_300x505_}}Ma che cosa ha spinto l’Agenzia spaziale russa Roskosmos ad avanzare ufficialmente al Cremlino la richiesta di colonizzare il Polo Sud lunare? Sicuramente la ricchezza di alcuni materiali con l’elio 3 quasi inesistente sulla Terra. Ma quanto conviene andarci, estrarla e riportarla qui con un costo superiore ai benefici, e in parte non sapremmo bene come utilizzare queste risorse, compreso questo particolare tipo di Elio. Il pericolo è però un altro: da bene intangibile di tutta l’umanità la luna rischia di diventare una colonia spartita in base alla geopolitica terrestre. Che sia questa la transizione che sta facendo il nostro amato e romantico satellite? Lo sapremo probabilmente presto, la mossa dei russi sembra troppo platealmente ufficiale per restare lettera morta.
Un pezzo di Luna, però, lo abbiamo anche in Italia, a Milano. Fu donato dagli Stati Uniti ai tempi delle missioni Apollo. E’ in mostra nella nuova sezione dedicata allo spazio e inaugurata al Museo della Scienza e Tecnica di Milano. L’allestimento del museo promette di far conoscere, a chi vorrà visitarlo, proprio la luna e comunque l’avventura spaziale. Si tratta di installazioni da cui si vede la Terra dallo spazio nelle splendide immagini da satellite distribuite in Italia da Telespazio, si può volare fra i pianeti, costruire la propria astronave in mille modi diversi e soprattutto capire se funzionerà, viaggiare fra le stelle e galassie vedendole in diverse lunghezze d’onda. Tutto in modo semplice e virtuale e un’interazione facile e alla portata anche dei più piccoli, grazie alle simpatiche installazioni di tablet ad “altezza bambino”. Ma non è tutto, l’utilizzo della tecnologia beacon, su trasmissione bluetooth, permette al visitatore fornito di smartphone di essere avvisato di contenuti supplementari e anche portarsi a casa immagini e filmati, splendidi, che scorrono sui grandi schermi.
Si vedono, nell’allestimento milanese, satelliti come il San Marco 3, il primo satellite italiano che ha volato nel 1964 portando l’Italia a essere il terzo Paese a lanciare, grazie a un vettore Usa, un satellite nello spazio. Siamo stati fra i primi anche nelle telecomunicazioni con il satellite Sirio, nel 1977, anche lui presente a Milano, vicino a uno dei grandi motori del lanciatore Vega, il razzo vettore ora europeo ma fortemente voluto dall’Agenzia Spaziale Italiana. Un museo che racconta la storia del contributo italiano, spesso ignorato, alla corsa allo spazio che sta probabilmente ricominciando.
Giovanni Caprara, appassionato conoscitore delle imprese spaziali, è riuscito a portare in mostra attorno al pezzo di Luna, pezzi unici dello spazio “sovietico”, grazie all’aiuto di un collezionista. Pezzi di quando gli astronauti andavano in orbita rannicchiati in posizione quasi fetale su minuscoli sedili, uno dei quali è esposto in questa sezione. Un pezzo raro in mostra è la tuta spaziale sviluppata per gli astronauti sovietici oltre 40 anni fa. Doveva servire per il loro primo sbarco sulla Luna, nella prima sfida “lunare” fra Urss e Usa, vinta notoriamente dagli Stai Uniti.
{{*ExtraImg_224035_ArtImgRight_300x187_}}Dopo il successo della missione Rosetta si riaccende l’interesse per l’esplorazione dello spazio fuori la Terra. L’ultimo astronauta a calpestare il suolo lunare con la missione Apollo 17 nel dicembre 1972, Eugen Cernan, a Milano per l’inaugurazione della nuova, bella, sezione dedicata allo spazio, al Museo della Scienza e Tecnica dove, al termine del percorso di visita, si può ammirare da vicino una piccola pietra di Luna, riportata sulla Terra proprio da lui afferma “[i]è la curiosità di scoprire, esplorare che ci fa andare avanti e ci permette di progredire facendo vivere meglio e in modo più confortevole e sicuro le nostre famiglie[/i]”. Una curiosità non esente da altri risvolti, ovvero la nuova corsa al nostro satellite, è un’opportunità industriale e tecnologica eccezionale. Anche per fare il salto su Marte.
Ma l’avventura oltre i confini della Terra può in sintesi ridursi alle seguenti tappe. La missione Lisa Pathfinder dell’Esa proverà nel 2015 a rivelare le omde gravitazionali previste già cento anni fa da Einstein. Nel 2016 partirà la prima missione su Mercurio la “Bepi Colombo“ a cura dell’Esa con la giapponese Jaxa e nel 2018 a cura della Nasa e dell’Esa sarà lanciato un telescopio, il nuovo Hubble, più potente del predecessore per indagare la formazione dell’Universo. Lo stesso anno ExoMars costruito da Esa con i russi Roscosmos, un rover atterrerà su Marte per penetrarne il suolo e studiarlo. Infine per il 2021 è stato ipotizzato il primo volo umano su Marte con il modulo Orion della Nasa.
Un programma ambizioso che si avvale di alcune delle esperienze fin qui compiute. Esperienze che hanno insegnato, per esempio, come ci si libera della gravità terrestre, come si sopravvive in orbita, come sia possibile già al momento una permanenza di oltre ottocento giorni all’interno di una stazione spaziale da parte dei quasi cinquecento uomini alcuni dei quali si sono trattenuti nello spazio appunto fino a quella soglia temporale. Anche se questa frequentazione e questa permanenza appartengono per il momento solo alla cosiddetta “orbita bassa terrestre”, quella a quattrocento chilometri di quota dalla Terra, dove stazionano da quattordici anni gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale.
Si tratta ora di andare oltre. Per esempio sperimentare la capacità di sopravvivere al lungo viaggio per Marte, il nuovo modulo spaziale Orion della Nasa. Per quest’ultimo il test sarà effettuato il 4 dicembre 2014 ma per il primo volo con equipaggio umano si dovrà attendere forse oltre il 2020.
Queste le prospettive della esplorazione dello spazio fuori della Terra con equipaggi umani. Diversamente è per il volo robotico che con la missione Rosetta ha dimostrato di avere eccellenti prospettive e che come abbiamo già detto ha dal 2015 al 2021 tappe strepitose già fissate. Uomini e robot sono dunque proiettati nel tempo e nello spazio con uno sforzo internazionale, nella convinzione ormai quasi certa che sarà la collaborazione più che la gara a portare risultati mai visti e forse anche insperati.
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