Ritorni, ingressi e secessionismi nella Provincia dell’Aquila

17 novembre 2014 | 09:26
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Ritorni, ingressi e secessionismi nella Provincia dell’Aquila

di Enrico Cavalli

La recentissima indizione di un referendum consultivo nel comune di Amatrice per decidere l’ingresso in Abruzzo, in risposta alla chiusura delle locale struttura sanitaria, va a bissare la determinazione espressa nel 2008 da Leonessa e in passato da Antrodoco.

Su questa lunghezza d’onda, l’intendimento di otto comuni della laziale Val Comino e di una stessa massima realtà del Frusinate, quale Sora. A contrappuntare tali potenziali rafforzamenti della territorialità aquilana, seguirebbero la volontà dei comuni di San Benedetto in Perillis e Collepietro di fondersi con Popoli, quindi, per fare parte di un Pescarese di più consolidato. Trattasi di spinte autonomiste conclamate dagli stop and go governativi sull’ìstituto provinciale e macroregioni, eppure, afferenti a quel rivoluzionamento abruzzese del 1927, allorquando, nel disegno fascista di ispessimento del controllo prefettizio nel Paese e sanatoria di rivalità fra i ras abruzzesi e sabini, ci fu la creazione della provincie Reatina e Pescarese. Ciò, avvenne staccando, rispettivamente e massimamente, l’ex circondario di Cittaducale e il mandamento di Popoli-Bussi, dall’Abruzzo Aquilano il cui relativo capoluogo ottenne l’inglobamento di otto centri limitrofi; tale Grande Comune, venne ribattezzato in “L’Aquila”, proprio, per il mutamento di realtà territoriale, in ragione di un regio decreto (n.1891) nel 1939 e che non casualmente ad evitare l’idea di una provincia municipale, da fine’800 vezzeggiata anche dalla componente socialista e non solo dall’iperconservatorismo localmente parlando, attestò che l’antica circoscrizione dell’UlterioreII si sarebbe dovuta chiamare ”dell’Aquila”.

Simili eventi, hanno organizzato i processi amministrativi delle aree interessate, oltrepassanti le circoscrizioni di appartenenza, a fronte di una Rieti compressa dalla Roma Capitale e due anni fa perfino sottesa ad un suo ingresso nell’Aquilano. Valga l’importanza di sottolineare problematiche storiche di fondo ed utili alla comprensione di una vicenda amministrativa intrecciata alle pulsioni in atto nella politica degli enti locali, e che potrebbe delineare una sorta di ritorno al futuro per i territori in oggetto, in primis L’Aquila, ma, che certo dovrà confrontarsi con le vocazioni di una Grande Pescara al di là delle reazioni in quello scacchiere dello stesso Teatino.

Oltre il riferimento ai centri nevralgici sabini di Teora e Amiternum, come alla rivalità tra Rieti e la conurbazione aquilana in età medievale per controllare la via degli Abruzzi, risalendo ad epoche molto più vicine, fu Fabio Cannella, il sindaco di Aquila all’atto dell’Unità, a perorare l’allargamento dei confini provinciali in nome della contiguità socioeconomica e culturale all’Abruzzo UlterioreII, dell’alto Reatino.

Tali aspettative, vennero frenate dalle tenaci ambizioni ternane durante la industrializzazione giolittiana, e, ribaltate nel gennaio 1927, seppure, il Cittaducalese, pur entro l’Archidiocesi aquilana fino al 1976, preservasse il legame alla sua antica provincia; specie, dopo il 1945, nella lotta per il capoluogo abruzzese, si inserirono le rivendicazioni sabine assecondate in chiave aquilana massimamente dal deputato monarchico, Vincenzo Rivera. Rinfocolatasi la contesa nel 1970-71 fra aquilani e pescaresi, il democristiano Luciano Fabiani ideò la regione Sabina in diramazioni umbre, ma, la politica cittadina, avvitata in quell’altro sostanziale Grande comune che fu il piano urbano del 1975, conchiuse una municipalità ad ampio raggio anche in approccio al Reatino lambito dall’espansione romana, mentre, al di là dei campanilismi costieri, irrompeva l’area metropolitana di Pescara-Chieti.

Il rivendicazionismo in oggetto, passò dalle ipotesi di sedi distaccate nel Reatino dell’Univaq., ai risorgenti secessionismi di Amatrice e Antrodoco, dalla identificazione fieristica e architettonica di Cittareale e Borbona a Montereale alla gestione delle patrimonialità aquilane di Piscignola e Santogna per finire al ruolo dell’alta Sabina nell’Abruzzo regione verde dell’Europa. Diverse occasioni di uno sviluppo integrato dell’area aquilana e sabina potevano derivare dagli agganci alle rotte stradali e ferroviarie per Roma ed il nord, trascurandosi l’indotto socioeconomico della L’Aquila-Amatrice, quindi, di un bacino sciistico di livello continentale, perché ipoteticamente annoverante il Terminillo, Gran Sasso, Altopiano delle Rocche e Maiella. Importanti, i rapporti fra la Marsica e Frusinate, stretti nella contingenza drammatica del sisma 1915 e parzialmente aprentesi in collegamenti territoriali dalle autostrade degli anni’60 e fino al modello di imprese a partecipazione pubblica del basso Appennino di inizio anni’80.

Quanto al fusionismo della bassa vallata Aterno-Pescara, forse, troppo dimentico del rapporto socioeconomico che quei due lembi estremi della provincia aquilana ebbero con il capoluogo di regione nella secolare transumanza di cui erano snodi verso la Doganella napoletana di Peltuinum, l’intendimento è quello di un soggetto amministrativo unico per giocare la carta turistico-ambientale di un comprensorio su tre parchi nazionali e collegabile dalla nuova stradalità di Bussi-Collepietro secondo un recente schema viario regionale; la nuova Presidenza abruzzese, avrebbe dato il placet in recepimento della normativa sull’unione di comuni, all’operazione suddetta, evidentemente, il punto a ridosso della Val Pescara, ancora costituendo un vulnus del grado di coesione della provincia aquilana.

Si impone agli amministratori aquilani, sabini e latamente frusinati, di valutare le radici antiche di un rapporto fra crucialità dell’Italia centrale, a ben vedere, sempre investite da decisioni governative, allora, nel 1927 per ottiche di regime, attualmente, per manovre di spending rewiew sugli enti locali.

Queste partizioni simbolo di una identità appenninica, altrimenti, sarebbero subordinate agli inputs legittimi delle aree, da un lato romano-centriche, e, dall’altro adriatiche, a prescindere della macroregione dalle Marche al Molise; così, pregiudicandosi la strategica ricostruzione morale e materiale dell’Aquilano e che potrebbe costituire un volano generale per tali territorialità, ritraenti da un comune percorso storico, quelle spinte all’inveramento di un futuro sviluppo sinergico.