Lo spaventapasseri della povertà di San Demetrio nei Vestini

3 dicembre 2014 | 06:37
Share0
Lo spaventapasseri della povertà di San Demetrio nei Vestini

di Vincenzo Battista*

In quel buio fondo, denso e compatto apparentemente fatto di nulla che avvolge le campagne nella pianura ad ovest di San Demetrio nei Vestini, i campi aperti bisogna solo immaginarli, se non fosse per quell’apparizione dei fari di un trattore e del suo vomere che apre la terra, la gira, la solleva avvolta dalla nube di polvere appena illuminata, rossa, si alza, visivamente in una colonna cromatica, quasi fosse un effetto speciale di un set cinematografico. Ma è solo il lavoro di aratura autunnale che si è attardato e comunque bisogna finirlo.

Prima, molte ore prima, quel trattore, esitando, si era fermato, e forse incredulo, l’autista, aveva osservato una “divinità” antica della terra posta in mezzo ai campi…

Ovidio, molti secoli prima, nelle [i]Metamorfosi[/i], la rappresentava questa divinità: scolpita, rozza in legno, dipinta di rosso, Priapo chiamata, simbolo di fertilità, protettrice dei campi dai ladri e uccelli del mondo romano, ma che ha ancora segnato nel corso delle generazioni i destini e le aspettative, come vedremo, gli umori e le solitudini fino al recente passato, anche nella comunità locale di San Demetrio, in quella concezione di un mondo agricolo secolarizzato, chiuso, e custodito intorno ai propri miti.

Arrestato il motore, quell’uomo, quindi, è sceso dal trattore, per avvicinarsi, incuriosito, e toccarla quell’enorme divinità, uno spaventapasseri costruito di paglia e stoffe rette da un palo, muto emblema, muto totem che sembra assomigliare ad una fiaba popolare, ma che invece racconta la povertà, narra il duro lavoro nei campi dei fittavoli e coloni, spesso ridotti in schiavitù dai proprietari terrieri che dalla parte dei vincitori hanno scritto la ”storia” del paesaggio agrario della conca aquilana. Ma un’altra storia, non scritta, siamo andati a cercarla nelle casette del terremoto, periferia di San Demetrio, molto tempo prima, alla vigilia di carnevale.

E’ lì che nasce lo spaventapasseri, il re fantoccio preparato da due coniugi anziani. Ma il suo valore e il suo significato vanno oltre il carnevale che si rappresenta nella sua cornice allegorica festosa e dissacrante. Al fantoccio, invece, venivano affidati i debiti contratti dal mondo contadino durante la stagione invernale, perché lui, potestà dei raccolti, li potesse spargere ed annullare nelle campagne fin dalla primavera (lo spaventapasseri veniva collocato con i primi orti), portarli lontano i debiti, liberare i coloni dai soprusi e dalle ingiustizie, dalla povertà e dalle condizioni sociali.

Un gioco magico, disarmato, della “festa” dentro però la sopravvivenza, che viveva la comunità; un gioco stridente, una speranza simbolica, uno spazio dilatato di ansie e affidato ancora una volta agli dei . . .

{{*ExtraImg_225607_ArtImgCenter_500x320_}}

[i]*Scrittore, saggista e giornalista pubblicista, autore di oltre 20 libri sul paesaggio e le comunità locali, tra cui l’ultimo “Il pane nell’arca”, guiderà il lettore alla scoperta di un paesaggio che si rivela carico di fascino nei suoi tratti più misteriosi ed inconsueti.[/i]

***

[url”LEGGI LA PRESENTAZIONE”]http://ilcapoluogo.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=112845&typeb=0[/url]

***

PROSSIMI APPUNTAMENTI

Martedì 9 dicembre

di Vincenzo Battista[/i]

{{*ExtraImg_225192_ArtImgRight_300x225_}}Ringhiosa, stridente, inconsueta la frenata, come se la littorina si fosse alzata, sulla propria gobba, e subito, fosse ricaduta sulle rotaie con un sobbalzo, inchinata, per poi bloccarsi davanti a qualcosa . . .

Venerdi 12 dicembre

di Vincenzo Battista[/i]

{{*ExtraImg_225193_ArtImgRight_300x225_}}La raccolta del fiore di zafferano è terminata nelle lunghe gobbe dei campi coperte ora dalla brina, che si alzano, come se lì fosse avvenuto un rito iniziatico della terra che si eleva . . .