
di Lucia Ottavi
Erano le 7:53 del 13 gennaio 1915 quando una forte scossa di terremoto, in soli 30 secondi, distrusse la Marsica intera, provocando quasi 30.000 morti. La Città di Pescina fu, dopo Avezzano, San Benedetto e Gioia dei Marsi, quella che ebbe il più alto numero di vittime. Sopravvissero 1500 abitanti su una popolazione di 5000.
{{*ExtraImg_225912_ArtImgRight_300x400_}}Secondino Tranquilli (conosciuto come Ignazio Silone) aveva appena 15 anni quando si trovò di fronte alla tragedia più assoluta che cambiò, irrimediabilmente e radicalmente, la sua vita. In quel 13 gennaio, mentre i suoi compagni del seminario minore erano nel panico e i superiori davano ordini, Secondino uscì dalla classe e si incamminò verso le scale, gridando: “[i]Viva la libertà[/i]”. Andava incontro ad un dramma che è difficile da descrivere a parole. In soli 30 secondi il suo mondo scomparve per sempre, fu allora che si rese conto della fragilità di tutto ciò che aveva amato: la famiglia, la casa, la chiesa e quegli ideali che fino a quel momento gli erano sembrati intoccabili.
{{*ExtraImg_225913_ArtImgRight_300x168_}}“[i]Nel terremoto[/i] – si legge nel libro di Silone ‘Uscita di Sicurezza’ – [i]morivano ricchi e poveri, istruiti e analfabeti. Autorità e sudditi. Nel terremoto la natura realizzava quello che la legge a parole prometteva e nei fatti non manteneva: l’uguaglianza. Uguaglianza effimera. Passata la paura, la disgrazia collettiva si trasformava in occasione di più larghe ingiustizie[/i]”.
{{*ExtraImg_225914_ArtImgRight_300x186_}}Sotto le macerie rimase anche la famiglia di Ignazio Silone. Alcuni mesi dopo la tragedia, lo scrittore inviò una lettera all’unico fratello sopravvissuto. “[i]Ahimè! son tornato a Pescina, ho rivisto con le lagrime agli occhi le macerie; sono ripassato tra le misere capanne, coperte alcune da pochi cenci come i primi giorni, dove vive con una indistinzione orribile di sesso, età e condizione la gente povera. Ho rivisto anche la nostra casa dove vidi, con gli occhi esausti di piangere, estrarre la nostra madre, cerea, disfatta. Ora il suo cadavere è seppellito eppure anche là mi pare uscisse una voce. Forse l’ombra di nostra madre ora abita quelle macerie inconscia della nostra sorte pare che ci chiami a stringerci nel suo seno. Ho rivisto il luogo dove tu fortunatamente fosti scavato. Ho rivisto tutto…[/i]”.
13 gennaio 1915 – 13 gennaio 2015 per non dimenticare.
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