
di Gioia Chiostri
La vita da vivere in una clessidra di vetro, vista dal viso verecondo di una vecchia visionaria. La prima pagina de ‘Il Teatro del buio’, libro edito dalla Casa editrice pescarese Ianieri e scritto a quattro mani da due professioniste delle storie tese, quali la giallista a tutto tondo Angela Capobianchi e la giornalista viaggiatrice nei pensieri, Rita Gambescia, comincia con l’eco e l’odore di un fatto realmente accaduto. Vi è una dolce vecchietta canuta e bianca, che, guardando a ritroso e assaporando i passi che fece o che sognò di compiere un giorno, ripercorre le orme di un’avventura inusuale, a più volti.
L’associazione culturale Adsumus Quoque di Avezzano ha inteso istaurare un contatto diretto fra la letteratura di recente voce e il pubblico marsicano appassionato di storie frastagliate. Si è tenuto venerdì pomeriggio, 19 dicembre, presso il restaurato Parco Arssa locale, l’incontro di presentazione del giallo ‘al quadrato’ fresco di stampa. Moderatrice dell’incontro, la giornalista Federica D’Amato, in veste di rappresentante della Casa Editrice Ianieri, che ha sposato il libro di successo. Fiore, la nonna, racconta, in prima persona, ai suoi nipotini un’avventura 50 anni dopo il suo fattivo accadimento. Siamo in un 2013 veduto attraverso una lente d’ingrandimento futurista, frastornato da un attacco virus imminente; ‘Il Teatro del buio’, titolo del libro, nasce da una spessa rete di significati. «In primis – spiegano le due autrici – poiché la notte cala sul sipario dell’infanzia innocente. Gli occhi bambini dei protagonisti rimangono turbati dai fatti delittuosi che accadono. Buio, però, è anche sinonimo di giallo e metafora dei buchi neri delle vite di alcuni dei personaggi. Ma buio viene inteso anche come l’assassinio di un sogno che comporta uno stato di smarrimento susseguente. Tutti devono attraversare, prima o poi, la più personale paura e Fiore e i suoi tre amici lo faranno nel peggiore dei modi».
{{*ExtraImg_227721_ArtImgRight_480x482_}}«Stasera si parla di Teatro, anche se vissuto in maniera completamente diversa dalla sua accezione originaria». Maria Paola Giorgi, vicepresidente dell’Associazione culturale marsicana, così ha inteso dare il là alla presentazione. «Il teatro – dice – è un escamotage e un centro di energie allo stesso momento. Dentro di esso, quattro ragazzini incontreranno la morte e cresceranno attraverso essa, per essa e nonostante essa». Prima visita in terra avezzanese per la giallista Capobianchi, di Pescara. Ha esordito dicendo: «Io sono stata sempre attratta dalle atmosfere a ‘più segreti’ del giallo. Ad un certo punto, però, ho pensato che mi sarebbe piaciuto sperimentare anche qualcosa di diverso rispetto alla mia letteratura di riferimento, rivolta ad un pubblico adulto che gradisce atmosfere spigolose. Da qui è nata la mia collaborazione con Rita».
Rita Gambescia, invece, ha lavorato a Milano dal ’92 come giornalista professionista nelle redazioni di ‘Italia Oggi’ e ‘L’Indipendente’. Il suo romanzo d’esordio, uscito nel 2006, porta il titolo di ‘Il villaggio dove avevano tutti un cane’: un vero e proprio thriller dello spirito. Anche lei, da Lanciano ad Avezzano per raccontare una storia, ma non una di quelle che, giorno dopo giorno, scompare alla pari di una margherita spogliata della propria corolla danzante. La scrittrice Angela Capobianchi, dal canto suo, nasce come avvocato. Abbandonerà poi la carriera legale nel ’99 per dedicarsi completamente alla scrittura. Esordirà nel ’98 con il giallo ‘Le ragioni del lupo’. Il suo ultimo libro, pubblicato nel 2011,‘Esecuzione’ – un thriller psicologico ambientato nel mondo della musica classica, vincitore dell’ambito premio ‘Nebbiagialla’ – è edito dalla casa editrice Piemme e tradotto in olandese. Quest’anno, invece, hanno scelto di sfidare sé stesse e gli umori dei più giovani. La letteratura gialla apre le porte ai ragazzi.
«Vige l’infondato pregiudizio sul fatto che la letteratura gialla sia una sorta di paraletteratura – afferma la Capobianchi – io credo, invece, che i gialli siano lo specchio moderno della realtà. Un giallo, in fondo, mette in scena tutti i guasti dell’uomo contemporaneo ed ha una funzione catartica: nel momento in cui si scopre l’inganno e il colpevole, il lettore ne esce assolutamente sollevato». ‘Il Teatro del buio’ è un giallo a più porte, un saliscendi a più scale. C’è la porta dell’infanzia sognatrice che viene catapultata in un contesto adulto; la porta del delitto da smascherare e l’ultima e più nascosta porticina, quella da ritracciare fra gli spazi tra le parole dei discorsi, spalancata sulla riflessione dei tempi moderni. Chi è che si cimenterà nella risoluzione del caso? Una compagine di ragazzini coetanei, tutti casualmente figli unici, che, fra mamme apprensive e peccanti, spesse volte, di ‘troppa modernità’, annoderanno fra di loro il legame dell’amicizia vera, ma investigativa. Federica D’Amato, ha dato la stura ad un excursus nel libro. «La Casa editrice Ianieri, da me rappresentata – ha detto – ha creduto molto e da subito nella buona riuscita del romanzo. Questo è un libro che brilla da sé e grazie ad Antonio Di Legge, presidente dell’associazione culturale, oggi possiamo farlo assaporare ad un pubblico nuovo». Angela e Rita si conoscono da quand’erano due bimbe sveglie e curiose. «Mi sono rivolta a Rita, – ha spiegato la Capobianchi – perché avevo bisogno di qualcuno che smussasse questa mia visione bruta e brutale di giallista incallita per adulti. Mi occorreva un tocco più leggero, che sapesse aggiustare un poco il tiro e aiutarmi a fare un’esperienza nuova».
La giallista Capobianchi ha voluto dare, quindi, la genesi ad un giallo gustato a ritroso, partendo dall’immagine di una nonna deliziosa, Fiore, che, immersa nella calma apparente dei ricordi, ingaggia una sfida con la sé stessa giovane e agguerrita di un tempo. Figlia unica, con una mamma e un papà entrambi avvocati – piccolo fiore all’occhiello autobiografico – vive in una solitudine edulcorata. Mossa dall’energia giovanile, si ritrova a frequentare un corso di teatro per ragazzi. Proprio in quell’ambito, intreccerà una relazione di forte amicizia con tre giovani anime che rimarranno sue amiche per tutta la vita, quali Mina, la figlia di un’insolita insegnante di Yoga separata dal marito, Bernardo, figlio di una donna estrosa e divertente, molto ‘mamma’, e di un padre, insegnante di Liceo, che parla in greco e in latino col pappagallo di famiglia e Pietro, l’ombroso bambino che vive con lo zio in una grande villa dall’aspetto un po’ gotico, rimasto orfano troppo presto di entrambi i genitori. I quattro, uniti dalle loro rispettive solitudini, si troveranno a confrontarsi con le ragioni della morte e il suo sapore adultamente amaro. «I quattro ragazzi si trovano a dover combattere con qualcosa di più grande di loro. – queste le parole della giornalista Gambescia – Nel teatro, infatti, succedono dei fattacci; a fronte di ciò, i ragazzi mettono in moto, quasi per gioco, dei meccanismi di alienazione per quanto concerne il rispettivo nido familiare. Affrontano la doppiezza della realtà: il teatro dà un contributo importantissimo al romanzo, poiché potenzia il gioco degli inganni che già è intrinseco al giallo e, al contempo, dà ai ragazzini il coraggio di affrontare la molteplicità, appunto, del reale che li svia. Il libro è pieno di travestimenti, trucchi, copioni: questo perché la maschera, innanzitutto, dà coraggio. Io, nel libro, per quel che riguarda la mia vita professionale, ho portato la mia personale esperienza di giornalista. Ebbene, il giornalismo è divenuto proprio un altro escamotage narrativo. Sono ragazzini che svolgono, infatti, le loro indagini attingendo notizie e presunte verità dai mass media». I delitti sono croci per chi legge e delizie per chi ne scrive.
{{*ExtraImg_227720_ArtImgCenter_500x375_}}«Nel giallo classico, alla fine, solitamente c’è il ristabilimento della quiete a seguito del caos causato dal delitto. – conclude Angela – Io sono un tipo molto pauroso: quando scrivo una pagina truculenta, provo un timore incredibile, ma vado a letto contenta poiché riesco a ‘spostare’ la mia paura madre su di un foglio bianco e la vinco così». Anche in questo romanzo, alla fine, l’omicidio avrà un motivo, un retroscena e un omicida nominato. Peculiare, però, l’occhio attraverso il quale si guarda la storia ‘storta’ inscenata, quella ‘ragazzina’ di un’anima mai cresciuta.
È un libro tuttofare, che ha al suo interno l’essenza squisitamente gialla, fatta di indizi, indagini e conclusioni, sporcata però dalla vita, quella vera, che non è mai completamente maestra, ma alunna dei fatti e delle coincidenze scambiate per destini ineluttabili. «Questo è un giallo prevalentemente investigativo; i ragazzi devono raccogliere informazioni e ragionare su di esse per approdare ad una conclusione. – afferma infine la Gambescia – La dimensione del gruppo, la riflessione, lo sprigionamento dell’energia collaborativa: esistono insegnamenti più belli di questi? I ragazzi dovrebbero sempre analizzare la realtà, senza mai dimenticarsi, però, che sono ragazzi e che quindi la loro età non va mai cresciuta più del dovuto. Mai arrampicarsi troppo presto sugli specchi del domani».
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