
di Raffaella De Nicola
In una solitaria mattinata di un dicembre festivo e bianco, uno dei pochi posti ancora frequentabili, cane al guinzaglio, cappello in testa, mi sono spinta all’interno del parco del Castello che qualunque città invidierebbe, meno la nostra, ovviamente.
{{*ExtraImg_228254_ArtImgRight_300x168_}}Ho camminato su brandelli di educazione e pubblicità occulta: a destra ho potuto ammirare una tuta grigia da uomo taglia M, più in là segni di audaci festini, lattine, carte, cornetti bauli, patatine san carlo, mozziconi di sigaretta, a sinistra bucce di banane, tetra pack, buste di beccafico, avanti ancora bottiglie, cartoni di Cataldi Madonna, lattine di coca, bicchieri di plastica, buste, e per finire il tour una testa monca di bambola, suppongo Barbie, un braccio muscoloso, forse di Ken, e un cucchiaio.
{{*ExtraImg_228255_ArtImgRight_300x168_}}Ho sentito l’impellente dovere di ringraziare chi così egregiamente concorre ad un’incuria comunale già esemplare: aiole cadenti, perimetrazioni fatiscenti che dovrebbero segnalare pericoli e sono esse stesse pericolose, cedimenti di muri di contenimento, spaccature sui bordi degli stessi, mancanza totale nel percorso verde di cestini, alberi caduti, illuminazione da thriller la sera, il massimo della sicurezza.
Inutile a questo punto disquisire, ahimè, sulla bellezza e la cura dei parchi di una città come Bolzano, con cui da sempre condividiamo solo le feroci temperature e, peccato, non il feroce senso del bene comune.
{{*ExtraImg_228257_ArtImgRight_300x533_}}Il cane, che mi porta al guinzaglio, si dirige verso il nuovo Auditorium, sempre in zona Trentino visto che è un dono e, inaspettato, si apre un varco sui segni di sporcizia mostrandomi due alberelli, un po’ spennacchiati è vero, ma teneri nel loro coraggioso tentativo di obliterare la mancanza di rispetto di altri. Sono di una scuola materna, Torrione Colle Capo Croce, e la mano incerta di Stefano, 5 anni, dichiara pubblicamente in una letterina tutto il suo amore per Babbo Natale, soprattutto se gli porterà un motoscafo, vero o di plastica non è dato sapere. Più in là, vicino il bar, altre mani pazienti e capaci hanno infiocchettato di rosso la fontana e un delizioso pungitopo addobbato ad albero natalizio, in un’oasi di cura ed eleganza firmata dai ragazzi del fossato, e qui pare di essere in zona Bolzano, che auspichiamo sempre meno rara, e comunque lontani da quelle mani che non aggiungono valore ma, anzi, lo tolgono pure.
{{*ExtraImg_228256_ArtImgRight_300x533_}}Sopra il tutto il vero protagonista, il tempo che passa, mentre il Castello guarda, abbraccia e accudisce la bellezza negli spigoli dei bastioni, nelle piante, nei colori che rimbalzano sugli angoli della fortezza, nel ponte che sembra una mano tesa e accompagna i pensieri silenziosi mentre giri e rigiri guardando ora il fossato, ora le bocche da fuoco, ora il doppio orecchione e lo scroscio dell’acqua che scorre, gli alberi che si chinano e l’elephas attende nuova luce. Insomma, qui si è fatta la storia e questo tracciato della comunità aquilana rende ancora più grave l’incuria del Comune e di cittadini poco educati, in un’area non solo verde ma di grande passione identitaria.
Per cui la domanda vera, secca, disarmante è: ma è così difficile aver cura del parco del Castello?
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