
AGGIORNAMENTO: Slitta a domani la decisione del verdetto sulla violenza sessuale commessa dall’ex militare Francesco Tuccia ai danni di una studentessa universitaria ridotta in fin di vita all’uscita da una discoteca di Pizzoli, nell’aquilano. La III Sezione penale, infatti, si è aggiornata a domani per il prolungarsi della trattazione delle cause a ruolo. Tuccia è stato condannato a otto anni di reclusione.
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«E’ ineccepibile la motivazione della sentenza di condanna emessa in questo processo per una violenza sessuale nelle quali la vittima è stata in condizione di totale assoggettamento e ha subito pratiche sessuali del tutto anomale e gravi»: così il pg della Cassazione Pietro Gaeta ha chiesto la conferma della condanna a 8 anni di reclusione per l’ex militare irpino Francesco Tuccia accusato di aver violentato una studentessa universitaria nel febbraio 2011 vicino l’Aquila.
Soltanto «l’intervento chirurgico immediato ha salvato la vita della ragazza, lasciata con una emorragia in corso e senza coscienza» al di fuori della discoteca «con una temperatura di 14 gradi sotto lo zero», ha ricordato il sostituto procuratore generale della Suprema Corte Pietro Gaeta in un altro passaggio della sua requisitoria al termine della quale ha chiesto l’inammissibilità e il rigetto dei due ricorsi dell’imputato.
Ad avviso del pg, il verdetto d’appello emesso il 6 dicembre 2013 ha «correttamente» escluso in favore di Tuccia la concessione delle attenuanti generiche e ha, invece, «riconosciuto l’aggravante della crudeltà».
Per la parte civile, l’avvocato Enrico Gallinaro, parlando a nome della vittima e dei suoi famigliari, ha chiesto alla Terza sezione penale della Cassazione di rendere definitiva la sentenza d’appello «che è proporzionata all’obbrobrio dei fatti».
Anche il Centro antiviolenza dell’Aquila si è costituito parte civile e ha contestato la difesa di Tuccia che sostiene che la vittima «avrebbe prestato il consenso alla pratica sessuale estrema» quando invece le testimonianze indicano che la studentessa «già all’interno della discoteca barcollava per quanto aveva bevuto ed era in stato di incoscienza profonda, mentre l’imputato era lucido e dopo la violenza è stato pronto a darsi alla fuga». In aula ci sono le donne del Centro antiviolenza, famigliari e amici della studentessa, e anche alcuni famigliari dell’ imputato. I carabinieri presidiano l’ordine pubblico con misure di rinforzo. Il verdetto è atteso in tarda serata.
LA MAMMA DELLA STUDENTESSA STUPRATA: «CONFIDO NELLA GIUSTIZIA, CHE HA UN VALORE EDUCATIVO» – «Confido nella giustizia che ha un valore sociale ed educativo: altrimenti un processo come questo è sempre un insuccesso per il solo fatto che sia accaduta una violenza sessuale così grave».
E’ quello che pensa la mamma della studentessa universitaria che ha subito il gravissimo stupro.
«Ho trovato, nella requisitoria del Pg della Cassazione molta serietà e attenzione tecnica che non sempre è scontato trovare nelle aule di Giustizia e anche i giudici hanno ascoltato con attenzione», prosegue la signora che ha seguito tutta l’odissea giudiziaria nata in seguito a questo stupro brutale e che ha assistito la figlia nella ripresa di una vita ‘normale’ che si è lasciata alle spalle anche interventi chirurgici che le hanno salvato la vita.
«Credo che di fronte a fatti come quello accaduto a mia figlia – ragiona la mamma della giovane vittima – serve da parte di noi tutti una rivisitazione dei vari ruoli educazionali. La battaglia da combattere è quella dei valori affettivi perché stiamo perdendo di vista il valore dell’essere umano e una crudeltà, come questa subita da mia figlia, si spiega solo con la mancanza di riferimenti affettivi e umanistici nell’universo di riferimento del ragazzo che ha compiuto tutto questo». Certamente processi come questo, sottolinea questa mamma pacata e allo stesso tempo combattiva, «lasciano sempre sul campo morti e feriti ma non bisogna dimenticare che la sentenza ha un valore risarcitorio. Anche se nel caso di mia figlia è come se una vita fosse morta e tutto sia stato da ricostruire da capo».