
di Lucia Ottavi
Cesidia Gianfelice, nata a Ortucchio il 28 ottobre del 1968, è madre di quattro ragazzi e insegnante di ruolo, da più di quindici anni, presso la scuola primaria. Scrive per il puro piacere di veder materializzate su fogli di carta le proprie emozioni pronte da condividere con gli altri.
{{*ExtraImg_229495_ArtImgCenter_275x183_}}Al suo attivo numerosi riconoscimenti letterari. Ha vinto il primo premio al concorso letterario nazionale “Caro Diario” nel 2009 con il racconto “Il volo dell’airone”, ed è stata segnalata dallo stesso concorso nel 2010 con il racconto “Varcando le segrete del silenzio” e nel 2013 con il racconto “ Sotto tiepidi cieli toscani”.
Due anni dopo ha avuto una segnalazione di merito al concorso letterario nazionale “La lanterna Bianca” con il racconto “ Dove soffiano gli angeli” e, nel 2013, è stata vincitrice del secondo premio con il racconto “Perdermi nei tuoi occhi … per ritrovarti ancora”. Nello stesso anno ha ricevuto un riconoscimento speciale dal presidente di giuria nel concorso nazionale “Histonium” di Vasto con le poesie “Grida nella notte 1” e “Grida nella notte 2”, ed ha pubblicato un romanzo autobiografico “Quel lago in fondo al cuore”, grazie al quale, nel 2014, ha ricevuto il primo premio. Sempre nel 2014 ha ottenuto una segnalazione di merito al concorso nazionale “La lanterna Bianca” con il racconto “Tra le pieghe dell’anima” ed ha pubblicato la silloge di poesie “Grida nella notte”, dedicata al terremoto dell’Aquila.
La composizione in versi che leggeremo di seguito è stata scritta da Cesidia Gianfelice, per ricordare l’immane tragedia che colpì la Marsica il 13 gennaio 1915. Dalle parole di questa straordinaria artista si evince il dolore di un popolo martoriato da una tragedia senza pari. La scrittrice ha dato lettura di questo toccante componimento letterario durante le celebrazioni del centenario del terremoto della Marsica nel comune di San Benedetto dei Marsi.
“Quell’alba mai baciata dal sole”
In quella notte solitaria e scura,
veli oscuri s’abbassarono , errando,
nel ricoprir di pianto la natura
dispersa nel gelo,
riflessa nel frammento d’un antico lago.
In quella notte, un canto di civetta
sopra un ramo
agghiacciò di paura persino un roditore,
che , con indifferenza ed angusta pena,
ricercava un qualche rifugio tra le zolle.
In quella notte s’ udì, dapprima, un silenzio serbato
poi, un sussurrar di fonte sprofondar in rumori alterni,
sempre più forti …
vaganti tra le gemme dell’ignoto
e tutto sembrò allontanarsi : persino la luna.
Così sinistra parve quella notte …
fra le pallide ombre delle nebbie
un cane latrava e le faceva compagnia,
forse anche lui era in cerca della mano
che gli facesse dimenticar l’abbandono.
Notte, perché non placasti l’ira della Terra,
accudendone ogni tremor,
col tuo manto di velluto.
Perché non cercasti la luce nascosta dalle macerie,
prima di fuggir via come una spietata ladra?
Notte non udisti il pianto dei tuoi figli?
Non vedesti i loro corpi macchiati di sangue e
sprofondar nel nulla,
ingoiati dalle loro umili dimore?
Non tremasti dinanzi al singhiozzar degli orfani?
E tu, Alba , perché non svegliasti, con arguto grido
,anche le stelle vagabonde,
nel navigar sul lago di luna , che fendeva deciso … le ombre e la notte.
Perché non scartocciasti le nubi … dai gusci di ghiaccio
affinché allontanassero dal tuo grembo la morte.
Alba di quel giorno lontano, immortalato nella storia,
sei ancora lì ad attendere il tuo sospirato sole,
mentre quella civetta va cantando ancora
nel sonno tumultuoso d’ogni notte.
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