
di Lucia Ottavi
Erano le 7.53 del 13 gennaio 1915, la Marsica fu devastata da un terribile terremoto, interi paesi furono rasi al suolo, quasi 30.000 persone persero la vita. A distanza di cento anni sono state molte le manifestazioni organizzate per ricordare, sono stati molti i pensieri pronunciati da studiosi della materia e sono state tante, davvero tante, le sensazioni espresse dalla gente comune.
Molti di noi avevano sentito parlare solo lontanamente di questo devastante terremoto, era come se la cosa non ci riguardasse, sono rare le persone che si sono soffermate a riflettere, nel corso degli anni, su ciò che quell’immane tragedia causò nella vita del popolo marsicano. Oggi, a distanza di cento anni, tutti noi siamo consapevoli del fatto che la nostra terra, i nostri avi, hanno vissuto sulla loro stessa pelle la forza distruttiva della natura.
Giammarco De Vincentis, noto imprenditore della Marsica, ha voluto regalarci un suo pensiero su quella che fu una enorme catastrofe che colpì il 13 gennaio 1915 la nostra bellissima terra.
«Cento anni e un giorno – afferma De Vincentis – sono passati dal tragico terremoto, che il 13 di gennaio ha colpito la Marsica, mietendo più di 30.000 vittime, solo a San Benedetto dei Marsi, nel mio paese, furono 3500 i morti, su 4.000 abitanti. In un solo giorno ho capito ciò che non avevo mai percepito nei miei sessant’anni di vita, ogni anno, ogni ricorrenza, l’ho vissuta in modo diverso, era come se non mi appartenesse direttamente, o meglio, che fosse un evento accaduto migliaia di anni fa. Ci sono stati momenti di raccoglimento, foto spolverate e rimesse in mostra, ogni paese ha fatto ciò che poteva, così ogni testata giornalistica, ma quello che mi ha colpito di più è stato veder scorrere le immagini delle persone decedute nel mio San Benedetto, leggere quei nomi scorrere in un video, come la parte di un film dove si vedono i nomi dei protagonisti. Lì ho capito che cento anni sono meno di due generazioni, mia madre con mia nipote, una bisnonna, come ho avuto io, anche se non ho mai conosciuto perché è morta sotto le macerie, con altri De Vincentis o Falcone (il cognome della madre di Giammarco. Ndr)».
«Non siamo tanto lontani come crediamo – continua l’imprenditore – ce ne siamo accorti leggendo i nomi delle vittime, abbiamo capito di chi fossero i parenti, gli stessi nomi e cognomi. Per qualche giorno il paese è stato unito, in silenzio e ascoltando, cominciando dai ragazzi delle scuole elementari, che ci hanno rappresentato la nostra storia, con le loro maestre, commosse, perché da loro, dalla loro ingenuità, dai i loro sogni, partisse un messaggio di speranza per tutte quelle persone che hanno una vita in parte vissuta, i genitori, i nonni. Ce lo hanno raccontato con passione, immedesimandosi con la loro sensibilità, con i loro disegni, dimostrandoci che se sappiamo insegnare, conosceranno le loro radici e la loro storia».
{{*ExtraImg_229797_ArtImgRight_300x300_}}«Ascoltare Duilio De Vincenti e Cesidia Gianfelice – aggiunge De Vincentis – leggere poesie scritte in occasione di questo evento, mi hanno fatto sentire piccolo, avrei voluto dire due parole anche io, ma sarebbero state di troppo, ho gioito con gli occhi, ma ho pianto col cuore, non si può restare impassibili come, alla testimonianza di Maria Antonietta Raglione, che ci raccontava i ricordi tramandati da suo nonno. Per finire la fiaccolata. Ha percorso tutto il mio paese, San Benedetto dei Marsi, per raggiungere poi il cimitero, non è stato facile, per me, leggere per chilometri di strada, avendo, in due mani, un libro, una torcia, un microfono, con gli occhiali appannati dal sudore. Raccontare grazie alla testimonianza di Monsignor Bagnoli, allora Vescovo dei Marsi, il lavoro del parroco Don Bosco, ora santificato e l’intervento di sua maestà il Re, mi ha toccato il cuore e per un po’ ho vissuto quei momenti, Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato, con sentimento e amore di patria, a questa manifestazione».
L’imprenditore Giammarco De Vincentis conclude il suo pensiero con una sua poesia, scritta il 14 gennaio 2015 e intitolata “L’Alba del giorno dopo”.
“L’Alba del giorno dopo”
[i]La prima notte
era passata,
con la luna
vestita di nero,
che aveva pianto
tutte le sue lacrime.
A terra i sassi
sbriciolati,
il fumo acre,
di qualche camino
ancora acceso,
le travi incrociate
che lasciavano
filtrare …
qualche lamento
ancora vivo,
mentre la neve
pietosamente copriva
come un mantello bianco,
uno scenario
fatto solo di morte
e di dolore.
Mai tanti morti
tutti insieme,
più di trentamila croci
erano sepolte sotto terra.
Era l’alba del giorno dopo,
non vi fu più tramonto,
perché si fermò
come le lancette di un orologio,
a ricordare la memoria.[/i]
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