
In una regione in difficoltà come l’Abruzzo l’arroganza e l’ignoranza dei fatti rischiano soltanto di deviare il dibattito dai problemi veri, dalla necessità di chiudere una volta per tutte una polemica che sa soltanto di vecchi arnesi, di rinnovare una classe dirigente che pur presidiando punti-chiave ha dimostrato sinora una grande inconsistenza e un’inesistente capacità di immaginare un futuro per la nostra comunità.
Per quanto la riguarda, la Cgil dell’Aquila non vuole e non può intromettersi in vicende interne alla Confindustria regionale, che sceglierà con i modi e i toni che ritiene più opportuni i suoi nuovi vertici. E tuttavia le affermazioni del presidente uscente di Confindustria Chieti, Paolo Primavera, oltre che essere offensive per un’intera città e un intero territorio, quello aquilano, non soltanto suonano vecchie di decenni (gli scontri per il capoluogo regionale risalgono al 1971) ma dimostrano come non tutti abbiano compreso lo spessore e la novità delle sfide con cui l’Abruzzo si misura, i rischi e le opportunità che sono in campo.
Certo noi aquilani non pretendiamo né crediamo che il tema della ricostruzione debba essere in cima ai pensieri di Primavera, e tuttavia quando si forniscono interpretazioni in libertà persino dei numeri, oppure quando si afferma che si sarebbe dovuto assistere a un fantomatico “picco di sviluppo economico” mentre “i dati sull’occupazione sono drammatici”, si dimostra solo di non conoscere i fatti che accadono appena fuori la porta di casa. Come si fa a non capire che la ricostruzione non riguarda soltanto L’Aquila ma è un problema e un’opportunità per l’intera regione? Da anni la Cgil ricorda che i comuni del cratere sismico sono 57 in tre province, e che altri 100 comuni fuori cratere hanno subito danni.
Inoltre quando si dice che nel post-terremoto sono già stati spesi 12 miliardi bisognerebbe sapere che quei soldi (che non sono finiti soltanto al capoluogo ma all’intero cratere) non sono andati tutti alla ricostruzione ma tanti si sono fermati all’emergenza. E bisognerebbe anche sapere che l’opera di ricostruzione ha offerto una possibilità di lavoro a 12-13mila operai edili e a centinaia di aziende abruzzesi ed italiane delle costruzioni e dell’indotto, che nel cratere sismico hanno evitato di finire nel vortice della crisi e dei fallimenti.
Tutto bene dunque? Ovviamente no, resta da fare moltissimo. Da un imprenditore però ci saremmo aspettati qualche idea e qualche iniziativa in più. Per esempio sarebbe stato opportuno e conveniente (per le aziende) che l’intera Confindustria, tutte le province intendo, si fossero schierate accanto agli amministratori locali e ai sindacati per incalzare i governi, velocizzare la ricostruzione e avere per tempo i fondi. In questo modo le commesse e le occasioni di lavoro si sarebbero moltiplicate e ne avrebbero beneficiato tante aziende di questa regione, ma non ricordo interventi di Primavera su questo tema, tantomeno solleciti alla politica espressi con la veemenza con cui parla del capoluogo.
A proposito di capoluogo. Qui l’arroganza arriva al punto da invitare L’Aquila “ad andarsene con il Lazio”. Affermazioni che si motivano con vecchi arnesi del campanilismo (il capoluogo che “non riesce a gestire la pressione del resto dell’Abruzzo” o la “paura tremenda di perdere centralità, anche in senso politico”) e ci accorge addirittura, dopo decenni, che “i collegamenti sono ridicoli” e che “la strada L’Aquila-Pescara grida vendetta”. Della classe dirigente aquilana ognuno dà il giudizio che crede, e tuttavia affermazioni come quelle ascoltate in questi giorni dimostrano che la “tendenza all’isolamento” che Primavera vede nel capoluogo si annida in altri luoghi e in altri ambienti di questa regione. I cui problemi e il cui futuro richiedono un salto di qualità ben diverso da quello che viene da alcuni ambienti imprenditoriali.
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