
«La condotta colpevole di De Bernardinis ebbe incidenza causale diretta nella formazione dei processi volitivi di alcune delle vittime nei momenti successivi alle due scosse ‘premonitrici’». È uno dei passaggi della sintesi delle motivazioni della sentenza di appello del processo alla Commissione Grandi Rischi, depositata questa mattina negli uffici della Corte d’Appello dell’Aquila. Il riferimento è all’allora vice capo della protezione civile nazionale, Bernardo De Bernardinis, l’unico condannato in appello.
Secondo la Corte, De Bernardinis è stato condannato a due anni di reclusione perché ritenuto «il responsabile della comunicazione in quel frangente» in merito alle dichiarazioni rese il giorno della riunione della Commissione Grandi Rischi del 31 marzo 2009, cinque giorni prima della tragica scossa.
Nel definire la condotta colpevole di De Bernardinis il collegio di secondo grado fa riferimento alle scosse ‘premonitrici’ della notte tra il 5 e il 6 aprile 2009. «Poiché le stesse (riferendosi alle vittime) sono state indotte da tali affermazioni rassicuranti a ritenere che si trattasse di un favorevole fenomeno di scarico di energia e, conseguentemente, ad abbandonare le pregresse abitudini di cautela, restando nelle abitazioni che crollarono per effetto del sisma».
In primo grado, il 22 ottobre 2012, i sette componenti della Commissione Grandi Rischi furono condannati dal giudice del Tribunale dell’Aquila, Marco Billi, a sei anni di reclusione per le accuse di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose; in secondo grado, il 10 novembre 2014, sei componenti su sette della Cgr vennero assolti perché «il fatto non sussiste» dalla Corte d’Appello dell’Aquila, ad eccezione di De Bernardinis, che si è visto ridurre la pena fino a due anni di reclusione.
L’OPERAZIONE MEDIATICA – Il primo capitolo affrontato dal collegio della Corte d’Appello nelle motivazioni della sentenza alla commissione Grandi Rischi è quello sulla riunione tenutasi all’Aquila con i sette membri dell’organismo, una settimana prima dell’evento catastrofico.
A tal proposito «La Corte ritiene che la riunione del 31 marzo 2009 non risponda a nessuno dei criteri legali che valgono ad identificarla come riunione della Commissione nazionale Grandi Rischi. Infatti, benché tutti gli imputati siano accusati a pari titolo in relazione alla indicata qualifica formale (‘tutti componenti della Cgr’) deve affermarsi che solo gli imputati Barberi, Boschi, Calvi ed Eva erano componenti effettivi della Cgr, sulla base della normativa vigente (art.4 DL 245/06, convertito in L 21/06 e conseguente Dpcm n 23582/06) dalla quale risulta la nomina del primo (Barberi) quale presidente vicario, in virtù della sua storia professionale, del secondo (Boschi) in qualità di Presidente dell’Ingv, del terzo e del quarto (Calvi ed Eva) in qualità di docenti universitari, esperti di rischio sismico.
«Quanto agli altri tre imputati – prosegue il collegio – deve dirsi che: De Bernardinis, partecipò alla riunione in qualità di vice capo del Dpc (il cui capo Bertolaso, aveva indetto la riunione) e in tale veste rappresentava la massima autorità di protezione civile, interessata alla consulenza degli esperti di rischio sismico; era, pertanto, funzionalmente estraneo alla Cgr ed infatti si limitò ad introdurre i temi della riunione, senza operare valutazioni di sorta, e poi a presiedere la conferenza stampa; Selvaggi partecipò alla riunione su iniziativa del professore Boschi da questi invitato in qualità di Direttore del centro nazionale Terremoti dell’Ingv e fu infatti indicato a verbale quale ‘accompagnatore’ di Boschi; Dolce – spiega sempre il collegio dei giudici di Appello – direttore dell’Ufficio Rischio Simico del Dpc era anch’egli funzionalmente estraneo alla Cgr pur se partecipò alla condotta di valutazione. Ne consegue che in assenza di numero legale di dieci componenti in coerenza con le effettive modalità di convocazione (con lettera inviata la sera del 30 marzo 2009 dal capo del Dpc Bertolaso soltanto ai quattro componenti la Cgr ‘esperti del settore rischio sismico’) e con lo sviluppo della discussione, la riunione va ricondotta al paradigma delle ‘ricognizioni, verifiche e indagini’ che ‘in ogni momento’ il Capo del Dpc puo’ richiedere ai componenti della Cgr (art.3, c. 10 Dpcm 23582/06). Consegue altresì che il contributo di ogni partecipante alla riunione, in assenza di una deliberazione collegialmente assunta, debba essere analizzato, per la verifica dell’accusa di valutazione ‘approssimativa, generica e inefficace’ per quello che effettivamente è stato, così come risulta dalla verbalizzazione effettuata nell’occasione (bozza di verbale, redatta sulla base di appunti presi nel corso della riunione, e verbale ufficiale sottoscritto e reso pubblico il 6 aprile 2009, dopo il sisma) nonché dalle dichiarazioni dei testi presenti: Stati, Cialente, Salvatore, Leone, Del Pinto, Braga e degli stessi imputati».
Sempre in relazione alla riunione del 31 marzo della Commissione Grandi Rischi, i giudici di Appello evidenziano come «l’oggetto della riunione non può che essere desunto dalla lettera di convocazione, con la quale si chiedeva ‘una attenta disamina degli aspetti scientifici e di protezione civile relativi alla sequenza sismica degli ultimi quattro mesi verificatasi nei territori della provincia dell’Aquila e culminata nella scossa di magnitudo 4.0 del 30 marzo alle ore 15.38 locali’ e ciò in contraddizione con l’imputazione che indica come ‘obiettivo’ della riunione la diversa finalità di informare la cittadinanza sull’attività sismica in corso, mediante l’innesto diretto nel capo d’accusa del testo del comunicato stampa diffuso nel tardo pomeriggio del 30 marzo 2009 dal Dpc (‘…con l’obiettivo di fornire ai cittadini abruzzesi tutte le informazioni disponibili alla comunità scientifica sull’attività sismica delle ultime settimane’)».
Secondo i giudici nell’istruttoria dibattimentale non si è «fornito alcun sostegno probatorio, sulla circostanza che tutti gli imputati (ad eccezione del De Bernardinis) avrebbero avuto diretta o indiretta conoscenza del comunicato, assumendo volontariamente l’onere e l’obbligo di informare direttamente i cittadini del contenuto delle loro valutazioni, in adesione al ritenuto ‘mandato’ del capo del Dpc Bertolaso».
«L’analisi di quanto effettivamente detto nel corso della riunione – proseguono i giudici della Corte d’Appello dell’Aquila nella sintesi delle motivazioni sulla sentenza – non consente di ritenere la sussistenza della condotta colposa relativa alla valutazione del rischio sismico, secondo l’accusa ‘approssimativa, generica e inefficace’, attribuita in cooperazione colposa a tutti gli imputati, ma riferibile in concreto ai soli Barberi, Boschi, Calvi, Eva, Selvaggi e Dolce, non avendo De Bernardinis partecipato in alcun modo all’analisi delle questioni scientifiche, in coerenza con le sue competenze e il suo ruolo istituzionale».
NON C’E’ ALCUN SOSTEGNO ALL’ACCUSA DI CONDOTTA COLPOSA – Sempre stando alle motivazioni «Il processo non offre, infatti, a parere della Corte, sostegno alcuno all’accusa di condotta colposa in relazione alle affermazioni e valutazioni formulate da ognuno degli imputati nel corso della riunione, così come verbalizzate e confermate dalle testimonianze dei presenti, il cui contenuto non è affatto assimilabile a quello dell’intervista televisiva rilasciata da De Bernardinis prima della riunione. E ciò vale – evidenziano sempre i giudici d’Appello – tanto per i profili di colpa generica, declinata nell’imputazione in tutti i tipi previsti dalla legge (negligenza, imprudenza, imperizia) quanto per quelli di colpa specifica, posti dal primo giudice al centro del convincimento di responsabilità. Ritiene la Corte che l’indagine svolta dal primo giudice non possa essere condivisa, poiché attiene, almeno nelle sue linee programmatiche, sovente e contraddittoriamente abbandonate, alle modalità della trattazione, ritenuta ‘approssimativa, generica e inefficace’, e tralasci il merito, quello dell’erroneità della valutazione effettuata sul piano scientifico, pervenendo a conclusioni incerte e fallaci, inidonee a costituire la base dell’accusa di omicidio colposo plurimo».
«L’unico concreto criterio utilizzabile nella fattispecie, è quello della colpa generica, ipotizzabile, tuttavia, solo in relazione al ‘merito’ delle valutazioni esposte nel corso della riunione e quindi in sostanza alla ‘perizia’ degli esperti non al ‘metodo’ seguito nella trattazione e tanto meno al quantum degli approfondimenti manifestati su ogni specifico indicatore di rischio».
SUL TEMA DELLA ‘RASSICURAZIONE’ – Quanto al tema della ‘rassicurazione’ peraltro ignoto in tali termini al capo di imputazione, i giudici della Corte d’Appello dell’Aquila osservano nelle motivazioni che «deve evidenziarsi che non può condividersi l’assunto del Tribunale, che ha condizionato la lettura dell’intero materiale istruttorio e quindi della condotta degli imputati, secondo il quale, nel convocare la riunione, Bertolaso si prefiggeva comunque di rassicurare la popolazione aquilana, indipendentemente da quelle che sarebbero state le valutazioni scientifiche degli esperti».
«Il tenore della conversazione casualmente intercettata tra Bertolaso e l’assessore Daniela Stati – affermano sempre i giudici d’Appello – offre invero la spiegazione ‘autentica’ delle ragioni che indussero il Capo del Dpc alla decisione di convocare con urgenza all’Aquila gli esperti della Cgr, da identificare nell’esigenza da un lato di ‘zittire subito qualsiasi imbecille, placare illazioni, preoccupazioni, ecc’, dall’altro di invitare la Protezione civile regionale, alle dipendenze della Stati, a ‘non fare comunicati dove non sono previste altre scosse di terremoto’, con chiaro riferimento, da un lato, alle propalazioni del ricercatore Giuliani (il quale aveva affermato di poter prevedere forti scosse imminenti con l’ausilio dell’analisi del gas radon e il giorno prima, 29 marzo, aveva dato l’allarme a Sulmona, scatenando il panico tra la popolazione di quella citta’) e, dall’altro, al comunicato tranquillizzante diramato dalla Protezione civile regionale nel pomeriggio dello stesso 30 marzo, dopo la scossa di magnitudo 4.1 delle 15.38 che aveva spaventato la popolazione aquilana».
IL CASO BERTOLASO E LA TELEFONATA DELLO ‘SCANDALO’ – Il vero motivo per il quale l’allora capo della Protezione Civile Guido Bertolaso ha convocato il 31 marzo 2009, cinque giorni prima della tragica scossa, «con urgenza all’Aquila gli esperti della commissione Grandi Rischi” sta nella necessità da un lato di “zittire subito qualsiasi imbecille, placare illazioni, preoccupazioni etc» e dall’altro di invitare la Protezione Civile regionale ad astenersi nel fare comunicati dove si dicesse che non sono previste altre scosse di terremoto.
Nelle motivazioni della sentenza d’Appello i giudici parlano di «spiegazione ‘autentica’» e collegano la posizione alla conversazione casualmente intercettata tra Bertolaso e l’allora assessore alla protezione civile Daniela Stati, la stessa intercettazione ha prodotto un filone parallelo alla commissione Grandi Rischi nei confronti della stessa Stati, prosciolta, e dell’ex capo della Protezione Civile, la cui posizione dopo due richieste di archiviazione fatte dal Pm, è al vaglio del Procuratore Generale della Corte d’Appello, Romolo Como, che dovrà nei prossimi giorni decidere proprio dopo aver esaminato le motivazioni della sentenza d’appello se mandare a processo Bertolaso o confermare l’archiviazione.
Il riferimento di Bertolaso alla Stati è relativo alle «propalazioni» del ricercatore Giampaolo Giuliani – scrivono i giudici d’Appello – il quale aveva affermato di poter prevedere forti scosse imminenti con l’ausilio dell’analisi del gas Radon e il giorno prima, 29 marzo 2009, aveva dato l’allarme a Sulmona (L’Aquila) (fatto per il quale Giuliani era stato denunciato per procurato allarme dalla protezione civile, ndr) scatenando il panico tra la popolazione di quella città».
Nella telefonata secondo i giudici d’Appello l’altro riferimento era al «comunicato tranquillizzante diramato dalla Protezione Civile regionale nel pomeriggio dello scorso 30 marzo, dopo la scossa di magnitudo 4.1 delle 15.38 che aveva spaventato la popolazione aquilana».
«Questa intercettazione – sempre secondo i giudici – offre un quadro del convincimento circa la situazione in corso maturato da Bertolaso, evidentemente preoccupato nell’immediatezza più dall’allarme ormai già diffuso nella popolazione a suo avviso imprudentemente fronteggiato dalla Protezione Civile locale, che da un possibile ma non prevedibile evento sismico di portata maggiore rispetto a quanto già accaduto».