
di Raffaella De Nicola
Lo vediamo entrare con passo affaticato, è la prima volta.
Ha una stanchezza che arriva da lontano, orme pesanti, il gesto banale che si carica di lentezza. Mette i suoi capi nell’armadietto dello spogliatoio, è tutto rallentato, i riflessi ovattati, varca il reparto dove il rene meccanico pulirà il sangue intossicato dalle scorie, steso su un lettino 4 ore a volta per 3 giorni la settimana.
Il percorso è iniziato un mese prima, in chirurgia vascolare, nel suo braccio la vena è stata legata ad un’arteria, una fistola, per non romperla quando l’ago entrerà per collegarlo all’azione che gli consentirà di vivere, l’ecografia post operatoria gli ha fatto sentire il suono del suo sangue, il rumore di quel flusso sotterraneo che ci governa e che ora è in cerca di aiuto.
Ora è nel reparto della dialisi, qui a l’Aquila.
I binari sono diversi da quelli voluti, deve confrontarsi con la meccanicità di un ritmo che governerà per sempre tutta la sua vita, un giorno sì e uno no, con una terapia salvavita, indolore sì, ma che correrà su tracciati paralleli alla depressione se non la si accetterà.
[i]“Ci vuole un po’ di tempo prima che il paziente si rassicuri. All’inizio hanno paura poi prendono familiarità e comincia un percorso impegnativo di condivisione con noi e le macchine”[/i] aspettando ogni seduta la password attesa, “stacchiamo”, che riconnette alla normalità. E’ la Dott.ssa Tunno, primario, che mi parla, mentre osservo dietro i vetri i pazienti stesi con le cuffiette a vedere la televisione, c’è anche internet, i guanti blu cambiano continuamente la biancheria dei letti e questa strana vita di tubi, lucine, rubinetti di scarico che dominano i ritmi sfalsati di una quotidianità a singhiozzo per ogni età.
Nel reparto aquilano tre medici, 17 infermieri e personale OTA si avvitano su quattro turni giornalieri di 25 pazienti a volta per 100 persone al giorno che arrivano in questa agorà che miscela il territorio, Castel del Monte, Campotosto, e l’età, il giovane e l’anziano in una piazza fatta di letti. [i]“C’è anche la possibilità della dialisi domiciliare, in Abruzzo solo a Lanciano e L’Aquila, un grande servizio che può contribuire a spezzare meno la normalità”[/i].
Adesso è accompagnato dal personale, viene aiutato a stendersi sul letto bilancia, misurata la pressione vengono impostati i parametri, l’ago entra, la vita passa in stand by in attesa del tempo infinito che pulisca il suo sangue, i panini e la frutta offerti dopo la seconda ora e i pensieri silenziosi che girano in quei tubi. Un cambiamento traumatico senza dubbio, che sfinisce, in questo dialogo forzato con la macchina che sostituisce il rene, scandito dai giorni di dialisi che consente di recuperare le forze già dopo un mese, ma non l’accettazione di quadranti giornalieri ritagliati, per questo ci vorrà molto tempo, condizionati in maniera assoluta, anche se la rete ospedaliera in territorio nazionale permette al paziente di spostarsi in vacanza nella stessa misura in cui qui viene assicurato il servizio ai turisti. Ma la medicina avanza e guadagna terreno [i]“la terapia antibiotica preventiva[/i] – continua la Dott.ssa Tunno – [i]ha alzato l’età media dei dializzati anche se solo il trapianto può essere risolutivo” [/i], sganciandosi dalla schiavitù dei tubi con la generosità di familiari o di incredibili donatori anonimi.
Ora ha finito, la Dott.ssa Ciccone si avvicina e lo saluta, si china per aiutarlo, gli parla e lo incoraggia, gli prende la mano, fuori nevica, dovrà tornare dopodomani in un appuntamento mai più derogabile per nessun motivo ed imparare a convivere con la sete, terribile d’estate, può bere pochissimo, e un debito vitalizio con una macchina metafisica e tiranna. Mentre esce lo sguardo come un grand’angolo cattura la Dott.ssa Innocenzi, gli infermieri e tutto il personale, capitale umano che marca la differenza, piccolo gioiello aquilano in una sanità niente affatto scontata, in questo diaframma dove le aspettative vengono sospese, in questa strana astronave che gli consente di vivere, in questo avamposto dove la sete ha l’aridità di un deserto in cerca di vita.