
di Valter Marcone
Ineffabile, tangibile, inafferrabile e terribilmente caduco. Pentola d’oro alla base di un arcobaleno di senso che si sposta ad ogni tentativo di avvicinarlo. Sarebbe bello poter raccontare il tempo con il tempo, procedere per semplici associazioni, senza cambiare mezzo, con una semantica ricettiva e contemplativa, cava, accogliente, non descrittiva. Spiegare il tempo non utilizzando parole che lo definiscano, lo circoscrivano e interrompano, ma procedere per storie.
Le storie di chi vive ancora a L’Aquila e nel suo territorio dopo il sisma del 2009, in attesa di poter tornare a rioccupare le abitazioni, le piazze, i negozi, i mercati, le chiese, le strade, le panchine dei giardini del suo centro storico e della sua periferia.
Il tempo delle storie racconta il tempo che intercorre tra quel 6 aprile 2009 e il prossimo 6 aprile 2015.
E per tutte le storie ne vogliamo raccontare una. Una sola. Metafora e senso dell’amore per una città che tutte le storie individuali e collettive degli aquilani narrano. La scrive Nicoletta Polla-Mattiot e la prendiamo in prestito come introduzione alla pubblicazione su questo Blog, LeStanzeDellaPoesia, di alcune poesie che parlano anche loro, proprio a modo loro, di quell’evento che ogni anno appunto si ricorda.
“[i]Questa è la storia di un amore esagerato, un amore incontenibile, incapace di stare dentro una parola. Un amore che non può essere dichiarato nemmeno a ‘lettere di fuoco’ e non può fare altro che esistere. La storia di un uomo–bambino, innamorato di un amore tanto più grande di lui, come enorme è il dolore per la distanza che li separa.
Ogni giorno spedisce un piccolo tesoro all’amata lontana. Non una lettera, non ha parole per dire quello che sente (figuriamoci scriverlo), ma qualcosa di suo, un oggetto, un ricordo. . .
Nei mesi le ha fatto avere un pugnetto di terra, una formica, un seme, un braccialetto di foglie, una cannuccia, un bottone, la metà di un nido, una calza spaiata, mezzo biscotto, una sua camicia usata.
Ma per il compleanno deve pensare a qualcosa di più, qualcosa di davvero speciale, qualcosa che sia l’amore stesso. Pensa e ripensa, inizia a costruire una grande busta che conterrà il suo regalo fuori taglia. Una busta enorme. Che cosa mai la riempirà?
Una busta smisurata come il suo amore che non può essere contenuto da niente, che quasi a stento entra nel cuore, il suo.
E venne il giorno. E mentre tutti i curiosi, tutto il paese si era riunito per vedere che cosa mai avrebbe messo dentro quella busta grande, grossa, sproporzionata, folle, lui, uomo e bambino, ci saltò dentro e si spedì tutto quanto, tutto intero, all’indirizzo della sua amata[/i]”.
Ai tuoi occhi chiedo
Non dire che il sole nelle fermate
del terremoto non basta più.
Questa primavera con poco sole
ed albe troppo grandi
aspetta tra i ferri vecchi
della città,
quelli conservati nei cassetti dei mobili
delle case,
questa primavera aspetta
ore e ore per sapere che ne deve fare
dei fiori e dei colori, dei gatti
in amore,
che ne deve fare di questa città.
Ai tuoi occhi chiedo come
sarà la città domani
dove si odono di nuovo i passi
e le voci all’antica maniera
tra il mare delle pietre nuove
e delle memorie antiche.
Vuoi che ti spieghi dove sono finiti
i passi
dell’esilio, quei passi che ogni passo
è una partenza.
I tuoi occhi già me lo dicono
guardando lontano eppure vicino
tra le strade e le case.
Sono finiti sul volto d’una madre,
nel canto d’un bambino,
sono finiti nella città di tela
la notte gelida il giorno che scotta
sono finiti nel pianto mescolato alla pena.
– Ma perché non dormi stanotte
e pensi a queste stupidaggini
e alle vuote parole per esprimerle
che ti fanno uscire di testa
(poeticamente “di senno”)
e ti mettono il bruciore di stomaco
(quello meno poeticamente viene
dalle rabbie che mi fanno prendere
e dall’ingordigia di quello che mi mangio)
perché non dormi? –
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