L’imperfezione della ‘perfezione’

26 febbraio 2015 | 09:30
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L’imperfezione della ‘perfezione’

“[i]La perfezione della ragione consiste in conoscere la sua propria insufficienza a felicitarci, anzi l’opposizione intrinseca ch’ella ha con la nostra felicità[/i]”

[i](Leopardi G., Zibaldone)[/i]

di Alfredo Vernacotola*

Ogni viaggio iniziatico all’interno di un microcosmo contenuto nell’immensità di un’Anima tesa a scrutare l’orizzonte dell’Infinito e dell’Indefinito lascia che sia la forza della natura a delineare il quadro di un affresco che ha come incipit d’esordio la perfettibilità dell’imperfezione.

Dietro questa affermazione non si cela un paradosso: l’imperfezione è l’elemento coagulante la diversità dimorante all’interno di una galassia – quale quella in cui è contenuta la nostra amata Terra – che sua intrinseca conoscenza sa di non potersi conoscere. La frase con cui si è deciso di iniziare questa riflessione ricalca lo spirito sia di chi scrive la riflessione che di chi si è cimentato nell’ardua decriptazione di messaggi afferenti a territori sconosciuti, talvolta ardui da non permettere di mostrare compiutamente il vero spirito combattivo – gli Antichi Greci e i Romani lo chiamavano [i]Furor bellicus[/i] – di un intellettuale capace di far tracimare l’infinitezza dell’Oceano delle emozioni.

Negli studi della scuola secondaria di secondo grado si è assistito ad una costante mistificazione del pensiero di Giacomo Leopardi, ritenendo costui espressione di una corrente di pensiero definita “Pessimismo”: nell’accezione ‘illuminata’ (di riflesso) di alcuni esegeti della prima ora (scolastica) nel caso del Recanatese, l’accezione (in)giusta è derivante dall’accostamento di due attributi opposti pessimista e cosmico. Assurdità prestata alla candidezza e verginità di studenti che si affacciano per la prima volta alla letteratura del nostro bel paese noncuranti di quale travisamento si stia operando.

Dibattere intorno alla figura di Leopardi risulta complesso ma non difficile: v’è la necessità di astrarre dalla condizione di privazione in cui l’autore di vere e proprie opere filosofiche è incastrato dalla Natura e ricondurre il suo operato intellettuale soltanto nell’alveo delle potenzialità infinite – e ancora una volta indefinite – dell’intelletto creativo.

Cos’è un intelletto creativo? Il freddo e rigoroso fare razionale non lascia spazio all’universo nascosto delle emozioni che assumono forma a partire dalla visione di un colle che apre le porte dell’infinito; c’è la necessità che queste poggino su un linguaggio che è affine al linguaggio degli istinti, istinti ‘educati’, chiamati emozioni. In ogni parola, in ogni metafora frutto del Genio di Recanati si respira l’odore forte di vissuti inscritti nella matrice dell’Origine.

Nella scena in cui Martone, bravissimo regista capace di affidarsi ad un grande attore come Elio Germano, immortala il momento dell’illuminazione creativa che ha prodotto “L’Infinito” del grande poeta, si respira l’unione della potenza derivante da una Natura mai doma dinanzi all’intellighenzia espressa da sé medesima all’atto della creazione e la riflessione filosofica figlia di un pensatore [i]ante litteram[/i]. Il [i]flatus vocis[/i] della Natura può trarre vigore soltanto attraverso una sorta di comunione di elementi di natura opposta che hanno il grande vantaggio di poter coniugare realtà altere che mostrano l’Indefinitezza dell’esistenza stessa.

Ammirando lo spazio che si dipana di fronte ai nostri occhi che, affascinati, si nutrono dei colori dipinti su di una tela imperfetta quale è la Terra, l’animo del poeta – si potrebbe dire la nostra psiche – torna al momento ove tutto ha iniziato a prendere forma. Fingersi nel pensiero indica una propensione del poeta ad addentrarsi nei sentieri impervi di una Natura che, pur manifestando le sue asprezze nei tumulti e nella desolazione di una tempesta, proprio in quegli istanti lascia fluire l’Humus vitale che genera la possibilità di riflettere su sé stessi, lasciando spazio a considerazioni che uniscono l’indeterminabile silenzio al grido stesso dell’esistenza.

Mi sovviene mentre scrivo l’analogia con un concetto caro alla psicoanalisi degli albori: il Trauma della Nascita di Otto Rank diviene un ottimo tassello per spiegare le emozioni che derivano da siffatte immagini poetiche. La voce dell’individuo che assume un ruolo nella propria vita niente altro è che il parto da cui ogni essere vivente vede la luce del Sole che diviene l’infinito, rappresentato dalla vita stessa, meravigliosa possibilità data al libero arbitrio dell’uomo. Libero arbitrio che Leopardi in molti suoi scritti ha voluto porre in risalto: non esiste libero arbitrio – uomo libero e non in termini dogmatici e teologici – se non conducente all’affermazione della propria equazione personale, che si connota di elementi che già all’atto della nascita vengono posti in pericolo.

Quando si parla di Trauma della Nascita lo psicoanalista Otto Rank vuole mettere in evidenza come l’individuo per ritenersi tale, affermando i propri talenti, nasce o meglio ri–nasce attraverso un secondo parto ove distacca quel cordone ombelicale che lo blocca lasciandolo invischiato in una tela tessuta dalla dipendenza nei confronti di una madre – in questo caso la Natura – non disposta concedergli i favori della vita. Ogni individuo nascendo pone le basi del proprio fallimento in quanto ogni esperienza è volta all’acquisizione di tappe che racchiudono l’insieme delle disposizioni individuali maggiormente nei fallimenti, quei fallimenti che pongono in essere il contatto con le sfere più nascoste dell’esistenza tanto individuali da tener in conto la sfera collettiva, intesa nella fattispecie della società che impone maschere cui porre il freno ai desideri di vita di ogni essere vivente, sia esso una formica o un abitante di un villaggio sperso nelle Ande peruviane.

Si è scritto in precedenza quanto sia fuorviante unire il termine pessimismo a Giacomo Leopardi: il realismo schietto, sincero poggiante su verità che nella loro crudezza esprimono la difficoltà di ogni essere vivente nel dare una spiegazione compiuta su cosa sia il destino individuale.

Cos’è il destino? Certamente differisce da quanto si intende con il termine Fato, forza che si oppone al Destino che – a mio avviso – si pone dinanzi a noi come scelta: il destino lo abbiamo scelto all’atto della nostra nascita ove si è deciso quel che sarebbe stato il nostro attraversamento. Chi si è impossessato della bisaccia contenente le bellezze atroci dell’umanità è cosciente del valore di ogni individuo, sia esso deprivato di movimento o di capacità intellettive. Nel caso specifico la vita di Giacomo Leopardi mostra come in effetti ogni agito che accompagna la realizzazione dell’opera d’arte chiamata vita vuole un processo continuo di differenziazione che connota una compresente affermazione di rinascita individuale e creazione di nuove nascite, come se la creatività esprimente vita attraverso riflessione sia capace di produrre il cambiamento in chi legge e fissa il proprio sguardo su lati non appartenenti alla sfera individuale bensì sociale.

In altro articolo in cui si tratta il connubio tra arte e psicologia – nello specifico sono vicino al pensiero di Aldo Carotenuto, che riteneva fondamentale il riconoscimento di una base poetica della mente, della psiche, elementi da non sottovalutare correlati al pantheon di divinità che caratterizzano l’individuo – si è scritto di Afrodite come dea che meglio descrive l’arte, o meglio la propensione all’arte; in questo luogo non–luogo intendo presentare un’altra dea: Artemide, colei che provoca nascite favorendo il parto di nuove individualità, tanto da porsi come elemento psicologico afferente a coloro che, rispettando la loro Natura, sono soliti avere cura degli altri.

Giacomo Leopardi ha avuto cura del futuro, un futuro che ai nostri occhi oggi è maledettamente presente. Perdita di valori, paura della diversità e emersione di un sottosuolo che rende la nostra regione, l’Abruzzo, e nello specifico la nostra L’Aquila, città inospitale se riferita ad ogni elemento che pone in essere la friabilità del sistema. Il diverso incute timore in quanto genera l’altro generando sé stesso. La diversità è il motore dell’universo e dell’evoluzione.

L’uomo, con le storture da egli stesso create, finirà col distruggere il creato in cui è stato demandato a svolgere il ruolo di protagonista. Il significato dell’esistenza è dato sia dal sole splendente ma ancora più dagli stati liminali in cui l’essenza dell’essere pensante si unisce con il grande potere delle emozioni, direttamente correlate al corpo perché l’intelletto creativo – quindi l’uomo – è un sistema complesso somato–psichico-culturale e non ultimo per importanza, relazionale.

Giacomo Leopardi l’Imperfezione che conferma l’inconsistenza sussistente della ”Perfezione”.

*psicologo e scrittore