
di Alfredo Vernacotola*
Santificare le feste: retaggio del credo cristiano forgiante ogni agito – dal primo virgulto all’addio a questa Natura – il comandamento lascia trasparire la volontà – ammantata di senso di colpa perpetuo – dell’umanità nei confronti del genere femminile di redimersi. Ogni santificazione è diretta emanazione di un martirio, volto al mantenimento di un equilibrio fallace fin dagli albori della civiltà. Il gesto di santità racchiude in sé la vocazione al sacrificio che ha come obiettivo la preservazione della specie.
Quando si parla di alto valore procreativo, di rinnovamento della vita – quindi di esaltazione dovuta al ruolo di genere conferito – la donna, il potere plasmante presente in essa dovrebbero vedersi riconosciuti i crismi di “santità”. Si faccia attenzione a non ritenere questo attributo come glorificante e figlio di una cultura ove v’è l’esasperazione del femminismo. Come tutti gli -ismi cela dentro di sé un trabocchetto: l’esaltazione è direttamente correlata alla distruzione che l’oppresso (inespresso) riversa sull’oggetto (supposto) opprimente.
La storia della civiltà – a partire dalle civiltà primitive, fino ad arrivare alle ancora esistenti civiltà tribali – ha posto la donna al centro della vita della comunità d’appartenenza, ponendo le basi per una società matriarcale ove il rispetto per le generazioni future fosse garantito dalla donna come figura d’accudimento dei nascituri e della vita del focolare domestico. La persecuzione nei confronti del genere femminile si genera attraverso un rovesciamento delle posizioni in gioco, favorendo il passaggio della donna da figura principale del processo d’emancipazione, a mero strumento atto a soddisfare gli istinti animaleschi di uomini–istinto che vedono l’oggetto come puro strumento appagante il desiderio sessuale o di possesso generato dalle fantasie dell’uomo cacciatore.
Esulando dalla disamina storico–sociologica, gli attacchi ripetuti al genere femminile si risolvono nella perdita di freni inibitori aventi come obiettivo la destrutturazione della donna, resa oggetto che non ha né ruolo, né una condizione di parità all’interno di una società asservita all’apparenza, al potere dei mass media pronti a propinare cliché di individui femminili prestati semplicemente al puro godimento del maschio, non dell’uomo.
La donna – oggi – nel mondo occidentalizzato è ritenuta merce su cui riversare le proprie frustrazioni: schiava del sesso, del potere e della politica sensazionalistica. Generata per essere distrutta in nome di un supposto amore che legittima la sua sussistenza vacua con il ricorso alla violenza: madri uccise innanzi agli occhi dei propri bambini, maltrattamenti in famiglia su minori fino a giungere ad affermazioni secondo cui soltanto in nome della violenza la donna può essere dell’Uomo. La furia cieca del volgare maschio che si appresta a bussare alla porta della donna, impaurita perché in balia di un sentimento che travolge ogni barriera, si dipana attraverso il disconoscimento del ruolo che la figura femminile ricopre. Quando parlo di ruolo intendo mettere in evidenza quanto il rispetto delle funzioni che la Natura ha donato sia la base su cui edificare una società in cui esista parità tra gli individui, siano essi omosessuali, ebrei o diversamente abili o “normali”. Oggi si esiste in nome del proprio arrivismo sociale, non tenendo conto di quanto l’importanza di una nazione si misura dall’attenzione che pone al rispetto dei diritti di tutti i cittadini.
La madre, la custode del focolaio domestico e la progenitrice di ogni essere umano vengono sussunte all’interno di uno schema ove l’approdo è la demonizzazione della donna. In fin dei conti fin dal gesto dell’Eden è la donna che tenta Adamo: l’uomo, terrorizzato dalla subalternità della tentazione, si comporta con essa come fosse indegna di vivere. La donna è tentazione: la tentazione è figlia della possibilità di avere fede verso sé stessi e gli altri. La donna non ha bisogno di conferme, non vuole che ci si adatti al suo credo: vuole Amore. Cos’é l’Amore? La spasmodica ricerca di sé stessi, che ha termine quando si crede di vedere ciò che l’altro non è. L’amore è un gioco di proiezioni. L’amante guarda il proprio universo là dove v’è la galassia sconosciuta: l’Altro. Lo chiama ‘amato’. Questo è l’amore.
L’altro di cui si dibatte nell’Amore è ciò che completa; l’Altro di cui si dibatte più sopra è ciò che l’individuo rifiuta di sé stesso: si può leggere nella violenza prestata nei confronti della donna la tendenza all’autodistruzione dell’uomo inconsapevole del proprio lato oscuro. Il possesso è sempre figlio di una educazione ove si è privilegiato l’aspetto fallico, energizzante del ruolo nella società moderna. La donna è oggetto, la donna è strumento di soddisfacimento tendente al mero mercanteggiare del suo corpo e delle peculiarità. Non v’é consapevolezza inerente al fattore coesivo svolto da questa nella società che mostra falle in ogni sua istituzione.
Il discorso sulle istituzioni è direttamente correlato al concetto di inclusione: mi piace ricordare il pensiero di una filosofa canadese, Martha Nussbaum, che della parità di genere e dell’inclusione ha fatto il suo vessillo. Una società che si ritenga al passo con i tempi deve creare le condizioni per cui vi sia il libero accesso alle istituzioni e al potere anche delle minoranze. Non è una questione che può essere discussa nel nostro paese poiché in Italia persino nella politica si assiste al potere dispostico dell’uomo. L’uomo è Narciso, non sapendo che come costui finirà nello specchio d’acqua non essendo capace di apprezzare il dono che l’Acqua – simbolo femminile di fertilità e vita – ha in sé: vivifica.
Si è ritenuto fin dall’antichità che il peccato sia una creazione della donna. Ancora una volta il mito ci viene in soccorso dicendo come effettivamente la natura divina si substanzia attraverso una triplice identità: Dio, Cristo e, alla sinistra del Padre, la Donna, per l’esattezza Lilith, una Sirena.
La donna è vita e non va sfregiata con l’acido, non va combattuta come fosse il diavolo o una sua emanazione.
La donna è vita.
Santificare le feste vuol dire onorare ogni giorno chi si occupa di noi tutti, non adoperargli violenza. L’otto marzo. Festa della donna ricorda il giorno di un martirio, quindi di violenza. Ogni santo ha percorso la sofferenza che lo ha portato sull’empireo garantendogli l’immortalità. Perché non rendere semplicemente umana e rispettata nella sua essenza la donna?
Non idolatrare la donna nel giorno del martirio. Amala, preservala e custodisci la Perla che è il Lei in ogni istante, ove la conferma della vita si rinnova manifestando il segreto dell’esistenza: la generatività.
La donna è vita, sacrificio, dedizione e abnegazione.
Non idolatrare la donna: ‘santificala’ ogni giorno, non martirizzandola.
*psicologo e scrittore