
“QUANDO CONOSCEVAMO SOLO IL MAMMUT”
Appunti di viaggio. Seconda sosta.
[i]II Parte. Non è più solo il tempo del mammut. Dove la città rinasce[/i]
di Valter Marcone
Come abbiamo già affermato nella prima parte noi conoscevamo solo il mammut, ma non è più solo il tempo del mammut. E’ tempo di far rinascere la città dal colore e dal colore che si ascolta.
Ecco, allora, un Re Act festoso.
Festa di chiusura della rassegna di street art e cultura urbana che per un mese ha colorato L’Aquila. Nel progetto Case di Bazzano, mentre Luca Ximenes (in arte DesX) ha dipinto in loco l’ultima parete di una palazzina, è stato possibile mangiare e stare insieme per una giornata fatta di convivialità e aggregazione all’insegna dell’arte negli spazi pubblici e della socialità nei Progetti Case.
Va ricordato anche che l’8 agosto 2014 alle ore 21.30 in tre diversi cortili di palazzi d’epoca restaurati (Palazzo Cappa, Palazzo Cappa Camponeschi, Palazzo Paone), ha preso vita lo spettacolo itinerante “AQ24 L’orologio della città nuova“, una coproduzione di Società Aquilana dei Concerti “B.Barattelli”, L’Uovo Teatro Stabile di Innovazione e Gruppo e-Motion per i Cantieri dell’Immaginario.
“[i]In ‘AQ24 L’orologio della città nuova’[/i] – scrivono dall’ufficio stampa dei Cantieri – [i]il tempo è il vero protagonista della vita di un uomo e quindi della città in cui vive, ed in particolare per una città come L’Aquila, che ha subìto un evento devastante e che da esso si sta riprendendo con fatica ma anche determinazione e speranza. Un concetto intorno al quale ruotano insieme a ideali (immaginarie!) lancette di un orologio le quattro arti letteratura-teatro, musica, danza, immagini[/i]”.
Uno spettacolo, dunque, anche questa volta che evoca immagini dentro però un’altra immagine, quella della città rappresentata, in questo caso, dalle sue architetture ritornate a nuova vita dopo la ricostruzione e il restauro.
{{*ExtraImg_235583_ArtImgRight_300x300_}}Ma in tema di immaginario urbano, tra tutte le altre, va ricordata l’ultimissima iniziativa OffSiteArt, che ha proposto un percorso immaginifico sui ponteggi e le impalcature del centro storico dell’Aquila.
OffSiteArt è stato ideato per la città dell’Aquila: l’intenzione è stata quella di trasformare i luoghi simbolo della ricostruzione, le impalcature dei cantieri, in muri di una enorme galleria d’arte a cielo aperto, su cui affiggere gigantografie di opere di artisti emergenti. “[i]E’ la prima volta che Artbridge lavora su un’area colpita da disastro naturale[/i]”, ha spiegato Veronica Santi, curatrice del progetto. “[i]Se a New York l’intento principale della nostra attività è quello di creare un ponte che unisca la popolazione locale e la scena artistica emergente della città, all’Aquila subentrano inevitabilmente altre tematiche legate alla ricostruzione.
Il progetto, dunque, non ha avuto solo valore culturale, creando un’attrattiva che ha portato in città artisti e grande attenzione mediatica, ma anche sociale, rigenerando l’identità di luoghi occupati solo da cantieri attraverso l’esposizione di opere d’arte selezionate da un comitato scientifico internazionale d’eccellenza”[/i].
Occupando spazi spesso destinati a cartelloni pubblicitari, gli interventi di ArtBridge favoriscono il dibattito culturale locale, avvicinando i cittadini all’arte.
A L’Aquila, dunque, 19 artisti locali tra i trecento che hanno risposto alla [i]call for art[/i], hanno esposto gigantografie in un suggestivo incontro, quindi ancora una volta tra arte e cittadini.
Un progetto di arte pubblica, dunque, che guarda alla città disgregata e ha l’obiettivo di occupare le impalcature dei cantieri del centro storico, trasformandole in muri di una grande galleria d’arte a cielo aperto. Un itinerario attraverso il quale pensare, riflettere, correre e perdersi.
{{*ExtraImg_235584_ArtImgRight_300x400_}}Un progetto firmato dall’organizzazione di arte pubblica no-profit ArtBridge, di base a New York, che, come accennavamo, utilizza impalcature, recinzioni e ponteggi presenti nel tessuto urbano come tele bianche su cui esporre gigantografie di opere di artisti emergenti.
“Off Site Art” nasce grazie all’incontro tra il fondatore di ArtBridge Rodney Durso, la curatrice Veronica Santi e un gruppo di cittadini aquilani, tra cui l’architetto Camilla Inverardi e la ricercatrice Antinisca Di Marco. Il positivo interesse delle istituzioni presenti sul territorio, tra cui Ance L’Aquila, il Comune, gli Uffici per la ricostruzione, L’Università e il Gran Sasso Science Institute, ha reso possibile “Off Site Art”, primo progetto di ArtBridge realizzato fuori gli Stati Uniti per un’area colpita da un disastro naturale.
Art Bridge ha chiesto agli artisti emergenti italiani di partecipare alla call for art, di inviare le immagini di massimo cinque opere d’arte, accompagnate da un unico messaggio di 140 caratteri. La commissione scientifica – composta da Ida Panicelli, Cecilia Alemani, Cecilia Guida e Giuseppe Lignano – ha selezionato le immagini da stampare sui teli in PVC che ricoprono le impalcature dei cantieri.
Ciascuna opera rimarrà esposta fino a conclusione del restauro del singolo edificio, accompagnando simbolicamente, passo dopo passo, la rinascita della città nella fase transitoria della ricostruzione.
{{*ExtraImg_235585_ArtImgRight_300x199_}}A piazza Palazzo è esposta l’opera “Take off L’Aquila” ideata da due artisti: Giannicola De Antonis e Gabriella Sperando. Di loro scrive Veronica Santi nell’ultimo numero di MU6: “[i]È un normale giorno di settimana all’Aquila. L’odore della pietra nell’aria, le nuvole gonfie e basse, la punta del Gran Sasso innevata. Gli operai sono svegli da un pezzo, hanno riempito piazza Palazzo di macchine e furgoni parcheggiati alla rinfusa. Una gru gialla si muove, lenta e decisa, ritagliando cerchi nel cielo. Gracchia al vento, svetta e affianca i tre poster ultra pop formato vinile della serie “Take Off L’Aquila”, frutto dell’estro del duo Giannicola De Antonis e Gabriella Sperandio, in arte G&G, dove l’iconografia tratta dai classici della musica rock degli anni ‘60 e ‘70 rivive nei luoghi simbolo del capoluogo abruzzese: il sottomarino dei Beatles galleggia tra le 99 Cannelle; la lingua dei Rolling Stones sbuca dal rosone dalla basilica San Bernardino; il branco di aeroplanini e cuoricini rossi targati Lou Reed aleggiano, tra grazia e torsione, intorno alle due donne della Fontana Luminosa. Un signore aquilano, seduto sulla panchina, controlla il trasporto dei materiali edili, tiene le mani ancorate al bastone di legno, la pupilla attenta scheggia veloce e liquida in attesa che qualcosa accada. Un turista biondo lo vede e scatta una fotografia. Poi si gira e scatta ancora, puntando stavolta gli edifici in ristrutturazione. Cartoline e cicatrici. Da lontano, il cantiere dell’impresa Di Vincenzo & Strever in piazza Palazzo è una parata di sette immagini lunga circa settanta metri. Campeggiano sul ponteggio mentre intorno si susseguono senza sosta le quotidiane operazioni per ricostruire la città dopo il sisma del 6 aprile 2009.
La gru gialla al centro del cantiere inizia il suo ciclo trasportando un blocco di mattoni pesanti e facendoli sfilare in aria davanti alle riproduzioni alte quasi 8 metri delle opere di Ditran Hyska, Danilo Susi e Claudia Esposito”[/i].
Sono questi alcuni dei diciannove artisti selezionati, sui quali probabilmente si tornerà a parlare su questo giornale con una antologia visiva che merita di essere posta all’attenzione di un pubblico amplissimo.
{{*ExtraImg_235586_ArtImgRight_300x225_}}Eravamo partiti dalla città e alla città dunque torniamo.
La città è stata più volte abbattuta da terremoti, a cominciare da quello verificatosi poco dopo la sua fondazione, anno 1315 o sedici come racconta Buccio di Ranallo:
[i]“Per li gran peccati – facti in li jorni giuti/ Deo ce mannò una gran plaga – de terremuti;
Fovi un gran pagura; – fecero multi buti/ Non che li percomplissero, – ca foro penetuti.
Promise lo communo – Santo Tomasso fare/ Dico, una ecclesia in Aquila, – ché degia Deo pregare
Che per suo amore dévali – de quilli liberare/ Poyché foro liberati, – non fo chi se sciottare.
Foro le terremuta, – le quali v’ò contati/ Dello mese de decembro – ad li tre giorni intrati;
Et de mercordì furono, – sacciate, cari frati/ Et era le Quatro tempora, jorni santificati!
Li terremuti foro – più che quatro semmane/ in loge jacevamo – et gran pagura avevane;
Facevamo penitentia – la sera et la demane/ Tucti frustando gìannose – con li scuriati in mane;
Foro facte multe paci – de innimistati granni/ Ché guerra avevamo avuta – et stati con multi affandi;
Quando fo questa cosa – se tu me ne domanni/ Correa mille trecento – quindici o sidici anni.
Correa nanti Natale – quindici anni compliti/ La Natale intrao li sidici – et li quindici forniti.
Le femene et li mascoli – tucti erano scoloriti/ Lialy l’uno ad l’altro – plu che li romiti.”
(Buccio Di Ranallo, Cronaca Aquilana, strofe CCXLVII – CCLII)[/i]
[i](…) Corria li annis Domini anni mille trecento
e più quaranta nove, credete ca no mento,
quanno fo el terramuto e quisto desertamento;
e quilli che moreroci, Dio li abbia a salvamento.
(…)
Quanno le case càdero fo tanta polverina,
no vidia l’uno l’altro omo quella matina;
multi ne abe a ucidere senza male de ruina:
ben se lli dé a conuscere, la potenza divina! (…).
(Buccio Di Ranallo, Cronica rimata)[/i]
Ma la città può ricominciare, il futuro può ricominciare non solo dal mammut.
LEGGI LA PRIMA STORIA:
[url”STA LI’ DAL 6 APRILE”]http://ilcapoluogo.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=116333&typeb=0[/url]
LEGGI LA SECONDA STORIA:
[url”PRIMA PARTE – QUANDO CONOSCEVAMO SOLO IL MAMMUT, DOVE LA CITTA NASCE.”]http://ilcapoluogo.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=116619&typeb=0[/url]
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