
di Andrea Giallonardo*
Tra gli eventi culturali promossi in questi giorni ha avuto particolare importanza l’incontro svoltosi giovedì 19 marzo presso l’Istituto Domenico Cotugno ed intitolato [i]”Aquila e i suoi cittadini, un ritratto di inizio 900″[/i]. In quest’incontro, facente parte di una più ampia serie di eventi promossi da Note Libere e dal liceo musicale dell’istituto Domenico Cotugno, un giovane storico aquilano, Tommaso Ciotti, ha illustrato al pubblico l’importanza che i decenni a cavallo tra 800 e 900 hanno avuto per l’assetto urbanistico della nostra città e la sua economia.
Il dottor Ciotti, il cui intervento è stato incorniciato da due esibizioni di un quartetto d’arpa, ha esordito sottolineando come il nome stesso della città sia stato modificato da Aquila in L’Aquila negli anni Trenta e si è trattato solo della punta dell’iceberg poiché il giovane storico ha condotto l’uditorio in un percorso ideale lungo le principali vie della città, ripercorrendo le vicende che le hanno dato quel volto che oggi, purtroppo, vediamo così atrocemente sfigurato.
Sono state apportate infatti modifiche molto estese che hanno prodotto sia miglioramenti che danni, l’intervento di Tommaso Ciotti ha reso chiaro come i vicoli e le piazze cittadine siano paragonabili alle pagine di un libro, ognuna delle quali può dire molto a chi possieda le giuste competenze.
Cruciale per L’Aquila, o per meglio dire Aquila dal momento che questo fu il nome della città fino al 39, è stata la seconda metà dell’Ottocento, periodo che vide lo Stato Italiano intraprendere una dannosa guerra doganale con la Francia e decretare l’affrancamento del Tavoliere delle Puglie. Si trattò di eventi nefasti per l’economia aquilana poiché andavano a colpire irrimediabilmente il pilastro della sua economia: il commercio della lana. Ciò portò non solo alla crisi della pastorizia, ma anche alla cessazione di tante attività artigianali ad essa correlate, tutto questo causò un inesorabile impoverimento della popolazione che fu costretta a ricorrere all’emigrazione, prima verso l’Agro Pontino, per lavori stagionali, poi, in via molto spesso definitiva, verso le Americhe.
Tramite l’ausilio di numerose immagini il dottor Ciotti ha illustrato il progressivo aggravarsi del disagio economico e sociale del tessuto cittadino, nonché il grande esodo che portò decine di migliaia di cittadini ad abbandonare, con dolore, la propria amata terra natìa. Incalcolabile è infatti il tragico impatto emotivo che l’obbligo di emigrare può aver generato nell’animo di gente così attaccata alle proprie origini e tradizioni.
Ciotti è poi passato ad analizzare come fu giocoforza, soprattutto agli inizi del XX secolo, riconvertire l’economia aquilana affinchè trovasse nuovo impulso nel settore terziario. Questo influì non poco nel profondo cambiamento che vi fu nella topografia della città: molte strade furono ampliate, come l’attuale Corso Federico II, e vennero riqualificate molte zone come quella corrispondente all’odierna Via Sallustio. Furono realizzate inoltre svariate opere pubbliche come la stazione ferroviaria, che fu collegata al centro storico tramite Via XX Settembre e la già citata Via Sallustio, e l’edificio delle Poste per la cui realizzazione fu necessario spostare letteralmente l’antico edificio delle Cancella. Non andò meglio al convento della Beata Antonia che venne abbattuto per metà.
Può sembrare banale parlare ora del cambiamento che il volto della città subì ad inizio del 900 dal momento che, come già detto, quel medesimo volto è adesso deturpato come non mai; tuttavia voglio sottolineare come il giovane studioso abbia utilizzato più volte due parole: cittadini ed urbanistica. Soffermandosi a riflettere su questi due elementi il collegamento con la situazione attuale è inevitabile, la sofferenza di chi fu costretto a lasciare la sua città per sempre fu poi così diversa da quella di chi, ora, si sta rassegnando alla consapevolezza che probabilmente dovrà vederla per sempre distrutta? Quanto è attuale, poi, la questione legata ad una riorganizzazione urbanistica oculata? Vogliamo forse riservare alla neoriscoperta Porta Barete lo stesso destino del convento della Beata Antonia?
[i]*lettore[/i]