Colle di Lucoli e la fonte dell’amore

26 marzo 2015 | 09:01
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Colle di Lucoli e la fonte dell’amore

di Fulgenzio Ciccozzi*

L’antica “fonte dell’amore” (o fonte de Lucusù) si pone a ridosso del paese che ha dato i natali al patriota del Risorgimento Pietro Marrelli. L’antico lavatoio ha visto nascere storie di amicizia e di passione. Storie che negli anni si sono incrociate con il sentiero spirituale che porta alla chiesa della Beata Cristina. La religiosa agostiniana è uno dei simboli religiosi del borgo e ne caratterizza inconfutabilmente, attraverso la raffigurazione della sua immagine, alcuni scorci urbani.

{{*ExtraImg_237470_ArtImgRight_300x199_}}Colle di Lucoli si sviluppa intorno a corso Visconti, sulla pendenza di un’altura che digrada verso i bassorilievi circostanti. La strada è abbracciata da case di antiche e consolidate famiglie, le quali, nel fulgore della transumanza, arricchivano l’architettura del borgo con le loro dimore.

{{*ExtraImg_237471_ArtImgRight_300x449_}}Il tono bianco e grigio dei muri è interrotto da una rossastra cassetta postale appesa a una parete. Le facciate delle abitazioni sono agghindate da porte e finestre di legno ormai logoro e circondate da antiche scalinate in pietra che si contrappongono e si avvitano sino a salire sugli usci dei piani superiori. Mentre dall’alto pende ancora un’insegna gialla che indicava la cabina telefonica del paese, quando avere quell’ambito oggetto di comunicazione in casa rimaneva ancora il sogno di molte famiglie italiane. Il corso è attraversato da macchine che, rade, scivolano sul selciato, verso le abitazioni ancora agibili. Poi il transito è interrotto da travi che ne ostruiscono il passaggio, poiché è reso insicuro da costruzioni lesionate.

{{*ExtraImg_237472_ArtImgRight_300x450_}}Nel caotico susseguirsi della trama dei fabbricati si aprono degli spazi con i nomi delle famiglie che più di altre hanno inciso sulla vita sociale ed economica del borgo. Più giù, in un assolato largo Masciocchi, davanti al portone dell’omonimo palazzo, due gatti assumono la postura di piccoli leoni le cui figure in pietra, sovente, abbelliscono gli ingressi delle case “gentilizie”. Poi, disturbati dall’inusuale presenza di estranei, si dileguano tra gli anfratti dei vicoli circostanti.

{{*ExtraImg_237473_ArtImgRight_300x450_}}Fuori dal paese, accanto alla strada che conduce a Roio, ci sono due villaggetti Map da cui si alza il monte che porta a Campuli: antico “granaio” del borgo lucolano. Un passato che riemerge nei ricordi del signor Tito Colafigli, il quale narra la vita dei rurali del luogo quando, in quella piana, si coltivavano lenticchie, orzo e grano che mietevano ad agosto. Nell’altopiano sorgevano dei fabbricati (da qualche decennio in via di disfacimento), con annesso pozzo e pilone, chiamati “le casette de Michetti”. Erano costruiti con calce e pietra. Il tetto in legno e i coppi coprivano i vani sottostanti che includevano anche stalle e pagliai.

{{*ExtraImg_237474_ArtImgRight_300x449_}}L’estate, quel pugno di case d’altura e l’esteso pianoro che si protraeva verso le cime assolate delle “Quartare” brulicavano di gente intenta ai lavori agropastorali. Come d’incanto, per qualche mese, quei luoghi d’alpeggio si trasformavano in un’oasi di vita e di fatica, in cui la raccolta delle messi si accordava con gli armenti che silenti e guardinghi pascolavano sulle groppe dei monti circostanti: ventosi dominatori della valle dell’Aterno.

Dall’alto di quelle cime sembra udirsi ancora l’eco dei canti e delle musiche che l’estate precedente a quella notte di aprile rimbombavano nelle piazze e nelle vie del paese di Colle. Il piccolo borgo di montagna quella sera si addormentava accompagnato dal ritmo di un valzer: “[i]Buona notte Fiorellino[/i]”. La melodia e le parole non lasciavano presagire, da lì a qualche mese, il risveglio del mostro che proprio lì vicino, a qualche chilometro di distanza, avrebbe ruggito, lasciando il paese scosso e ora prodigo a ricostruire il suo futuro.

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