
di Valter Marcone
Per secoli astronomi e scienziati hanno supposto che sulla luna ci fosse vita. Attraverso una serie di osservazioni, di volta in volta, dedussero e formularono teorie, a volte ambiziose, a dimostrazione di questa idea. La vita sulla luna. Una fantasia però svanita all’improvviso nel nulla nel 1969, quando l’uomo posò i piedi sulla luna.
Ripercorriamo in questa puntata queste teorie.
Uno dei sostenitori più convinti di questa teoria fu l’ecclesiastico inglese John Wilkins (1614-1672). Scrisse infatti nella sua opera [i]The Discovery of a World in the Moone[/i] (La scoperta di un mondo sulla luna, 1638) “[i]E’ probabile che quel mondo sia popolato da esseri viventi, ma non possiamo sapere di che genere siano[/i]“.
Come lui l’astronomo Johann Hieronymus Schroter (1745-1816), noto per aver elaborato delle tavole su Marte, si diceva “[i]pienamente convinto che tutti i corpi celesti siano stati dotati dall’Onnipotente di un ambiente fisico capace di ospitare ogni tipo di creatura vivente[/i]“. Proprio osservando la Luna ipotizzò che certe variazioni di colore della sua superficie indicassero zone coltivate e che particolari marcature fossero di origini industriali, per esempio del tipo “[i]fornaci o fabbriche degli abitanti della luna[/i]”.
Si sa che attorno alla luna non esiste atmosfera, per cui molti dubbi sono sorti sulla possibilità di vita sulla Luna. I primi osservatori notarono che le stelle eclissate dalla Luna, entrando e uscendo dalla sua visuale, non subivano alcuna variazione. Anche l’immaginazione popolare a lungo accreditò questa possibilità.
Scienziati e astronomi continuarono ad insistere su questa ipotesi. Tanto che uno dei più noti tra di loro, addirittura alle soglie del XX secolo, Camille Flammarion (1842- 1925), scriveva: “[i]Dopo tutto, mi dico, (consapevole dei limiti del telescopio) cosa possiamo veramente distinguere e riconoscere a quella distanza? Potrebbero comparire o scomparire le piramidi d’Egitto e nessuno se ne accorgerebbe[/i]”.
L’intraprendente scienziato fece poi una spedizione in pallone, ovvero si alzò sulla superficie della terra e affermò che a quella distanza, osservando la terra, un ipotetico alieno non avrebbe dato credito alla vita sulla Terra.
Infatti, continuava, “[i]Se dunque La Terra vista da pochi chilometri di distanza appare come un mondo morto, non sarà ingannevole sostenere che la Luna è un mondo morto, solo perché lo vediamo ad una distanza di centonovanta chilometri o più[/i]”.
Lo stesso Flammarion nella sua opera Astronomia popolare (1894), pur sapendo che la Terra e la Luna avevano climi completamente diversi, attribuiva ad un’origine umana le occasionali “nebbie foschie, vapori o esalazioni“ che aveva riscontrato appunto osservando la superficie della luna.
Infine ammise che forse sulla luna potevano esistere solo forme di vita più semplici: “[i]Perché dovremmo ritenere che su quel piccolo globo non possa esistere una vegetazione più o meno paragonabile a quella che abbellisce il nostro pianeta? Foreste rigogliose simili a quelle dell’Africa e del Sud America potrebbero ricoprire varie estensioni di terreno, senza che noi possiamo rendercene conto. Sulla luna non c’è primavera e autunno e non possiamo affidarci alle variazioni di colore delle nostre piante del nord, alla verzura a maggio e alla caduta delle foglie gialle ad ottobre, per sostenere con eccessiva convinzione che la vegetazione lunare dovrebbe avere lo stesso aspetto, oppure non esistere. Esistono sulla Luna creature passive analoghe ai nostri vegetali?[/i]”
In tempi più vicini a noi ancora degli irriducibili continuarono ad affermare che comunque sulla Luna poteva esserci vita. Tra questi l’astronomo americano William Henry Pickering (1858- 1938) riferì di aver osservato sulla superficie della Luna chiazze chiare non sempre dai contorni definibili, assimilabili a possibili ghiacciai. Come pure riferiva di aver osservato una nevicata sulla cima della montagna obelisco Pico e tempeste di neve a nord del cratere Conon. Riferiva di aver notato una colorazione verdastra al centro del cratere Grimaldi che gli faceva pensare a vegetazione. Addirittura affermò di aver notato degli insetti, arrivando a definirne le dimensioni tipo formiche rosse.
Il divulgatore di astronomia Valdemar Axel Firsoff cercò con forza di ridare vita alle ipotesi della esistenza di organismi sulla Luna. Riteneva probabile che la Luna avesse un’atmosfera composta di vapore acqueo, diossido di carbonio, ”[i]vapori pesanti[/i]“ o sostanze volatili che si creavano in “[i]certi acquari sigillati tra gli spazi chiusi, dentro crepacci e cavità, nelle zone depresse dei mari e in altre, meno ben definite, regioni vulcaniche[/i]“.
A volte non è facile perdonare a scienziati e astronomi alcune loro astruse teorie, anche se osare oltre il concepibile e guardare dentro al mistero è un mestiere che a lungo nei secoli l’uomo ha praticato con buoni risultati.
Uno dei grandi visionari della fantascienza Arthur C. Clarke (1917–2008) affermava nel 1968: “[i]Se mai una forma di vita si sviluppò sulla Luna – forse in qualche mare lunare da tempo scomparso – potrebbe ancora trovarsi là. Qualsiasi biologo che si rispetti potrebbe disegnare un intero serraglio di Seleniti credibili, una volta confermata l’esistenza di un certo numero di elementi chimici comuni, sopra e sotto la superficie lunare[/i].
Chissà che la creazione di una base sulla luna, con la possibilità di effettuare studi e ricerche, non confermi questa ipotesi e soprattutto non avveri quella che fu l’ipotesi millenaria della possibilità che sulla Luna possa affermarsi una forma di vita.
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