
di Valter Marcone
La banda imprigionata sotto un tetto di plexiglas
immagina di suonare l’area finale
d’un melodramma d’amore, d’avventura
di fuoco, di morte e dolore,
s’affannano le luci a voltaggio alternato
ad illuminare la piazza sotto una luna maculata
da un cielo di terracotta e gomma rosa.
I gatti nel cortile di pietra miagolano
come spettri afasici in deliquio;
delle voci del giorno appena smorzato
dalla notte padrona che ha legato col fil di ferro
in una ragnatela lunga e fitta l’emisfero
d’un pianeta azzurro, nulla.
I volti della gente dopo la festa
in tante bolle scivolano
in diorama sullo schermo;
gli uomini a cavallo più alti dei grattacieli
con le lance scheletrite si battono
in un gigantesco torneo e il saracino
gira, gira, gira su se stesso
come il mondo di questi uomini
che ascoltano stasera una banda
sotto una cassa-armonica di cartapesta
pronta a franare alla prima pioggia,
al primo vento
al primo respiro che fa veramente
respirare.
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