«Il cappello alpino glielo porterò io quando morirò»

16 maggio 2015 | 14:22
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«Il cappello alpino glielo porterò io quando morirò»

di Gioia Chiostri

Le radici sono fatte per essere scovate. Al di là dell’Adunata presente, di quella fatta di penne nere visibili e udibili ad occhio e ad orecchio nudo, esiste lei: l’Adunata degli alpini che non ci sono più.

Parallela alla prima, quest’ultima, non meno importante, tinge le piume carbone nel limbo del ricordo dei familiari. Oggi, parliamo di Luigi Tirabassi, militare per leva obbligatoria, ma alpino da sempre per cuore e per anima, scomparso cinque anni fa. Originario di Celano, emigrato, poi, per cercar felicità e fortuna tangibili, in Australia, Luigino, così è detto dai suoi amici e dalla sua famiglia, si arruolò nell’esercito italiano nel 1950, quando l’ombra pestifera del secondo conflitto bellico s’era scolorita un poco e quando l’amore soleva ancora scoppiare nelle coronarie una volta sola per tutta la vita.

{{*ExtraImg_242492_ArtImgRight_300x456_}}«Prestò servizio presso la caserma di Tarvisio, in Friuli-Venezia Giulia – racconta la figlia Gabriella – all’epoca, mio padre era già fidanzato e innamoratissimo di madre, di appena 15 anni di età. Qui, in casa, ancora grandeggia il suo cappello alpino, con la penna nera lucidissima e intoccata dal tempo e dalla polvere: come se una micro-gemma della sua vita e del suo spirito si fossero ramificati al suo interno. Sul cappello del congedo, che è qui davanti a me, scrisse di suo pugno: ‘mamma torno per tutta la vita’. La quale vita, allora, davvero combaciava in tutto e per tutto con la più schietta semplicità di costruire con la sua futura moglie una bella famiglia da amare».

Vedova Tirabassi, è Irma D’Ovidio, celanese doc con, nel sangue, l’incalpestabile ruggito della sopravvivenza. Afferma a [i]IlCapoluogo.it[/i]: «Mi scriveva, dalla sua caserma, lettere d’amore. Il cappello alpino è ancora qui con me, glielo porterò io stessa quando morirò».

{{*ExtraImg_242494_ArtImgRight_300x534_}}Luigi Tirabassi era uno dei tanti figli adottati dalla gloriosa caserma ‘Lamarmora’, distaccamento dell’Ottavo Reggimento Alpini, ora senza più eredi e riconvertita ad altri usi sociali. Partecipò, da buon alpino, a tutte le Adunate, anno dopo anno, sfilata dopo sfilata. «Ci riportava, dalle grandi città che andava a visitare con i suoi fratelli di penna, le famose stelle alpine e le bamboline con indosso il cappello canonico con su scritta la città di provenienza. Ogni Adunata per lui era sacra: come un appuntamento non detto con una parte di sé che se n’era andata via troppo presto. Io e la mia famiglia, per onorare questo suo forte credo, facemmo intarsiare sulla sua lapide delle piccole stelle alpine: un gesto simbolico ed eterno».

L’ultima adunata alla quale Luigi prese parte è stata quella svoltasi ad Aosta, nel 2003. «Andammo anche io e mio figlio, che porta, tra l’altro, lo stesso nome di mio padre – racconta Gabriella – è stata un’esperienza bellissima: una marea di penne nere, fiumi di vino a volontà e vecchi alpini dignitosi sulle sedie a rotelle a festeggiare allegramente nel mezzo della mischia fraterna. Solo allora, capii cosa vuol dire far parte di una famiglia del genere, una sorta di coperta trapuntata di stelle appenniniche che, invisibile, ti scalda il cuore anche d’estate. Mio figlio Luigi, allora, aveva solo 10 anni».

{{*ExtraImg_242493_ArtImgRight_300x168_}}La storia di Luigi assomiglierà a quella di tanti alpini volati nel cielo delle Adunate celesti. Con la penna nera che spunta al di sopra delle nuvole, anche loro, grazie a chi li porta, giorno dopo giorno, stretti nel cuore, parteciperanno, quest’anno, all’evento immemore aquilano. Sfileranno, con tutti gli altri, nel mezzo dei tricolori immortali in festa. E tutto resiste; oltre il tempo. Oltre la morte.