
di Enrico Cavalli*
La I Guerra mondiale cala su di una fase particolare dell’Abruzzo, area cerniera fra il sud e nord della penisola unificata. A prescindere dal climaterio interventistico, evidentemente non spezzabile dai ritmi emigratori e dal grande sisma marsicano del 1915, c’è l’irrompere di ceti e gruppi anche critici dell’antico notabilato e tanto più forte laddove l’associazionismo ha un suo radicamento e ricettivo delle moderne socializzazioni, specie se di sentore aggregativo come gli eventi sportivi itineranti o meno. Tali fenomenologie della comunicazione di massa entrano gradualmente nell’immaginario collettivo di un Aquilano che, da fine ’800, punta a mantenere il ruolo formale di polarità regionale anche tramite dinamiche di un verbo sportivo e di cui anzi vanta tradizione antesignana in chiave ardimentosa. Ai ceti tardorisorgimentali percepienti la cultura del tempo libero di matrice britannica fa riscontro la dedizione delle masse verso le arti ludiche mediative del passaggio d’interesse agli sport dell’era industriale, gradualmente accettate dalle partizioni socialiste che religiose.
Dopo la buona risultanza dell’arrivo a Chieti del primo Giro d’Italia nel 1909, la Aquila liberaldemocratica dei Camerini, Speranza, Jacobuccijr, Marinucci si attivò per essere tappa intermedia della Teramo-Napoli e per il 1914 quale punto di arrivo della carovana in rosa da Bari e di partenza per il tappone verso Lugo di Romagna; tra i corridori attesi sul rettilineo dalle villette liberty via XX Settembre ed in punzonatura successiva all’Albergo d’Italia, per la grande fatica mancarono i big alla Girardengo.
Siamo al tempo della “settimana rossa”, eppure, “L’Avvenire”, dei Lopardi, Donatelli, Scimia, Masci, abbandona la critica esacerbata alle esagitate mode agonistiche, azzardando analogie tra l’anelito internazionalista dei popoli e il partecipazionismo olimpico di marca decoubertiana.
I fogli cattolici, da “[i]L’Eco degli Abruzzi[/i]” alla “[i]La Torre[/i]”, dal 1902 al 1913, chiosavano di attività ricreativo-sportive dei ragazzi/e iscritti al circolo dei Terziari di San Bernardino piuttosto che dell’Azione Cattolica, sotto lo zelo dei sacerdoti Sollecchia, De Nardis, Andreassi.
Su questo variegato sostrato di approcci all’agonismo e cultura fisica sia elitaristico, quindi, schermidorio, che di massa, quindi, ciclistico, oppure interclassista, quindi, dei ludi folkloristici, trova del terreno fertile, nell’Aquilano, similmente alle parti meridionali del Paese, la diffusione del giuoco del calcio.
Regionalmente, l’apparizione del calcio moderno, al di là della sua estrinsecazione di fine ’800 tanto tostiana che dannunziana, parrebbe databile secondo il foglio di Teramo ”[i]L’Attualità[/i]” del luglio 1913, alla locale piazza d’Armi, sebbene ad opinare tale vanto due rivendicazioni entrambi del 1902, l’una in quel degli studenti del Vastese, l’altra nella cornice degli stabilimenti Torlonia nell’Avezzanese. Probabilmente, le trame calcistiche dell’Aquilano hanno una germinazione spontanea dai circoli e scuole di ginnastica suscettive alla Società sportiva cittadina ed avendo luogo a San Basilio piuttosto che a Collemaggio. Il suaccennato aprutino messaggero dello sport abruzzese, del 26 marzo 1915, riferisce di precedenti raduni al mercoledì e domenica dei ragazzi dell’Aquila football club alla piazza d’Armi e concessa dai militari in virtù di possibili sintonie col mondo studentesco in fibrillazione per le imminenti “radiose giornate di maggio”.
{{*ExtraImg_243689_ArtImgRight_300x533_}}Concluse le attività di preparazione, questi giovani calciatori in un altro e grande manifesto pubblico patrocinato dalla FIGC, abruzzese, esortavano la cittadinanza ad assistere in un pomeriggio domenicale del 25 aprile del 1915 all’esibizione delle due formazioni dell’Aquila football club, verosimilmente non in una zona off limits per i puntellamenti post sisma. Da un lato del campo, stavano, Ricci, Santoro, Centofanti, Pacini, Saccone, Pica-Alfieri, Maggi, Cicerone, Passacantando, Serena, Colagrande, dall’altra, PerroneI, Verlengia, Zia, ColagrandeII, SantiniII, Boldi, Vicentini, Sabini, Ferri, SantiniI, Balestracci e, utili alla bisogna PerroneIII, Campana, Rossi, Visca, Basti, e referee Tomassi; per la contesa lodevole l’apporto degli ufficiali e reclute dei militari stanziali e pronti a fornire divise e attrezzature da gioco e poi a dare vita su idea del capitano del 13’reggimento d’artiglieria Luigi Gastaldi alla Polisportiva Folgore in seguito dalla caratterizzazione civica; la presenza dei Ricci, Santini, Passacantando, Tomassi, colonne della precedente Società Sportiva Aquilana, dimostra la molto probabile nascita da questo sodalizio del calcio cittadino rispetto alla datazione ufficiosa della primavera 1915, la quale cosa, leggendo fra le pieghe della notizia in oggetto fornita dallo specializzato giornale aprutino.
Quell’incontro che pure rientrava tra le modalità di rapporti fra studenti e reclute di quel periodo, fu una socializzazione extra i contraccolpi morali del sisma marsicano, alla stregua del cinematografo, proiettandosi nel capoluogo e circondario la pellicola kolossal ”[i]Quo vadis[/i]” del regista Alberto Guazzoni; una divagazione civica, ebbene, incidente nella veicolazione del verbo sportivo se la commissione urbanistica di Cesare Rivera chiamata alla ricostruzione cittadina, rispolverava l’idea ottocentesca del parco della pallacorda a Campo di Fossa. All’onda interventista, lo sport principe, il ciclismo aveva un sussulto di trasformazioni in grigioverde. Dal Convitto e liceo classico, giovani docenti e studenti si raggruppano nei Volontari Ciclisti a loro volta collaterali alla sezione nazionalista cittadina di cui responsabile fu l’allievo e bersagliere Mario Sabini in base ad eleione dei suoi colleghi prossimi all’arruolamento nella Grande Guerra, tra cui Luigi Ciuffini, Adelchi Serena, Oreste Cimoroni, Michele Centofanti che cadrà da alpino sul fronte nel 1916.
All’atto delle piazze aquilane imbandierate di irredentismo e di marce dei volontari contro la “prepotenza asburgica”, insomma, gli studenti ed i circoli militari trovavano modalità di saldatura nei bersaglieri ciclisti di cui punta di diamante furono soggettività coetanee e che stavano per recitare parte preminente in un agone politico locale che si era lasciato alle spalle senza recriminazioni la cosiddetta aurea mediocrazia giolittiana.
Al tuonare del cannone in Europa c’era la graduale sospensione delle attività sportive, paradossalmente, auspicate dai quartieri generali delle nazioni belligeranti al fronte onde alleviare i drammi per i soldati quanto per rafforzarne l’indole patriottica. Sta di fatto che il CONI, sorto nel 1914 punta allo sport entro l’ambito scolastico ed aperto eccezionalmente alle donne, ma, senza i crismi della ufficialità agonistica, e, la FIGC, fondata nel 1907 dal Duca degli Abruzzi e dal molisano Enrico D’Ovidio, sancisce una stasi calcistica in quanto alla discussa Coppa federale del 1916 rinunciarono le squadre del Sud. Nell’Aquilano, inevitabilmente, impegnando la Grande Guerra gli uomini, a tenere alto il nome dello sport saranno i ragazzi al di sotto dei sedici anni e la novità di costume dell’elemento femminile, del resto, chiamato a sostituire i maschi nelle occupazioni civili, insomma, delineandosi l’antesignana esponente della versione femminile dell’agonismo cittadino.
Già ”[i]Il tiratore abruzzese[/i]” del 15 ottobre 1914, ad imitazione dei poligoni di Messina, Parma, Torino, Milano, aprì i suoi corsi di istruzione balistica presso l’ex orto di Santa Maria Maddalena alle donne ad “[i]evitare il rischio di trovarsi senza difesa dinanzi alla mobilitazione generale[/i]”; le adesioni del ”gentil sesso” a questa schietta pratica maschile, si ebbero sul finire del conflitto, e, prova di destrezza nel fucile di precisione la diede la giovanissima Augusta De Paolis, la figlia del tenente colonnello Salvatore, ispettore regio del poligono ”Camponeschi”, e che quindi andava inscritta d’ufficio fra le primigenie campionesse cittadine per “L’Aquila” del 20 luglio 1917.
Lo sport, allora, fece la sua parte negli spazi dei quarti cittadini piuttosto che dei borghi rurali per intrattenere la popolazione e fare da cornice alla pubblica beneficenza delle famiglie bisognose e soldati al fronte.
Eloquentemente, il foglio della municipalistica mobilitazione patriottica ”L’Aquila” del 16 aprile 1916, elogiava i saggi ginnici dei liceali guidati dal professore Luigi Tomassi sullo sfondo della sottoscrizione di fondi per gli indomiti alpini ”nostrani” sull’Isonzo. Il microcosmo liceale di appassionati della montagna stimolava una disciplina tipica dei paesi nordici e che in un territorio aduso a temperature sotto zero era possibile effettuare, lo skitting, a merito del sodalizio costituito dall’avvocato Ubaldo Bafile coi propri affiliati a svago della popolazione, questi temerari, improvvisatori di evoluzioni nei naturali agoni ghiacciati delle piazzette dei quarti storici, quanto, distinguendosi per raccolta di indumenti e viveri a favore dei soldati aquilani al fronte.
Finisce la Grande guerra ed anche nella regione abruzzese che diede un altissimo numero di caduti alla Patria, la movimentazione reducista innesca convulsioni sociali ed in estensione al discorso sportivo con simbologie di taglio identitario ed aggregativo delle masse in azione, come dall’appellativo di Folgore per l’ufficiale Polisportiva aquilana di ciclismo, podismo, ginnastica e calcio. In una domenica d’inizio 1920, in quello che era reputato il luogo sportivo d’elezione, ovvero il piazzale di Collemaggio, un pubblico assiepato ai bordi del prato verde trepidava alla sfida fra la sezione calcistica della Polisportiva Folgore in tenuta grigia alla rappresentativa degli stanziali del 13’ artiglieri dall’imprecisata foggia, ma, a conferma della loro sensibilità sportiva pronti a spendere la propria titolazione per la nascita di una squadra riconducibile all’aquilanità.
E’ un dato oggettivo che il gruppo più attivo dell’interventismo studentesco nell’Aquilano sia altrettanto impegnato alla costituzione di ambiti agonistici, e, dopo il 1918, fomenti la movimentazione combattentistica confluente in gran parte al fascismo. Gli esponenti locali del Ventennio approcciano alla versione sportiva, si pensi ad Adelchi Serena, certamente, anche ai fini del consenso di massa. Ma lo sport aquilano resisterà alla contaminazione totalitaria in chiave interclassista e per la stessa emancipazione femminile, avendo insiti quei valori di lealtà e rispetto delle regole e che potranno rintracciarsi nelle dinamiche delle future classi democratiche, però, di là da venire per effetto di altra guerra mondiale.
*storico