
Ha preso il via stamani, davanti alla Corte d’assise d’appello di Perugia, l’udienza per il processo a Salvatore Parolisi, il caporalmaggiore dell’Esercito in carcere per l’omicidio della moglie, Melania Rea, uccisa il 18 aprile del 2011 con 35 coltellate e il cui corpo venne ritrovato nel boschetto delle Casermette, a Ripe di Civitella del Tronto, in provincia di Teramo.
Una udienza dal contenuto ‘tecnico’, a porte chiuse, al termine della quale la Corte dovrà pronunciarsi dopo che, il 10 febbraio scorso, la Suprema Corte, pur riconoscendo la responsabilità dell’imputato nell’omicidio, ha disposto un nuovo processo per rideterminare al ribasso la pena a 30 anni inflittagli in appello, eliminando la contestata aggravante della crudeltà.
Parolisi, difeso dai legali Walter Biscotti e Nicodemo Gentile e recluso a Teramo, non è presente in aula.
Sono presenti, invece, il padre e il fratello di Melania, Gennaro e Michele Rea, accompagnati dal loro legale di parte civile, Mauro Gionni.
LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA – Nelle oltre 100 pagine di motivazioni della sentenza, la prima sezione penale riconosce Salvatore Parolisi come unico responsabile del delitto, maturato in una «esplosione di ira ricollegabile a un litigio tra i due coniugi».
Le ragioni fondanti del litigio, aggiunge la Suprema Corte nelle motivazioni «si apprezzano nella conclamata infedeltà coniugale» di Parolisi.
Il «fatto delittuoso», sottolineano i supremi giudici, «si inserisce nel contesto di una giornata ‘apparentemente normale’, i due coniugi erano attesi di lì a poco a casa di amici», la figlia «era con loro» e «non è risultato alcun particolare contatto, nella fascia oraria immediatamente precedente, con ulteriori soggetti o terzi tale da far ipotizzare ulteriori e anomali appuntamenti».
La ricostruzione operata dagli inquirenti «colloca» Parolisi «sul luogo del delitto» e «costruisce il delitto stesso in termini di ‘occasionalità» ossia legato al «dolo d’impeto» e non alla «premeditazione».
L’AGGRAVANTE DELLA CRUDELTA’ – Per i giudici «la mera reiterazione dei colpi», anche se «consistente», non può essere ritenuta «fonte di aggravamento di pena», in relazione all’aggravante dell’aver agito con crudeltà.
Il caporalmaggiore dell’Esercito, unico imputato per l’omicidio della moglie, è stato condannato dai giudici di primo grado al massimo della pena, con isolamento diurno. Il 30 settembre 2013 la sentenza di secondo grado: Parolisi viene condannato a 30 anni dalla Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila.
Quindi il ricorso presentato dai suoi legali Walter Biscotti e Nicodemo Gentile, insieme al penalista Titta Madia, e il nuovo verdetto della Corte di Cassazione. A presiedere la Corte d’assise d’appello di Perugia Maria Rita Belardi. A latere Massimo Ricciarelli. Sostituto procuratore generale Giancarlo Costagliola, lo stesso che si occupò del processo per l’omicidio di Meredith Kercher.
I LEGALI DI PAROLISI CHIEDONO ‘DOPPIO SCONTO’ – Un “doppio sconto” di pena è stato chiesto dalla difesa di Salvatore Parolisi alla Corte d’Assise d’Appello che deve rivalutare al ribasso la condanna a 30 anni inflittagli per l’omicidio della moglie Melania Rea.
In particolare i legali, gli avvocati Nicodemo Gentile e Valter Biscotti, hanno sollecitato l’esclusione dell’aggravante della crudeltà e la concessione delle attenuanti generiche. La sentenza è attesa in mattinata.
Gli avvocati Gentile e Biscotti hanno chiesto per Parolisi una pena «sotto i 20 anni. Abbiamo sollecitato – ha detto l’avvocato Gentile – il minimo edittale. Una pena giusta, equa».
Secondo i difensori dell’ex caporalmaggiore «ci sono poi tutti gli elementi per concedergli le attenuanti generiche come il fatto che sia un giovane, incensurato e militare irreprensibile».