Storie di tutti: incubi aquilani

21 giugno 2015 | 18:31
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Storie di tutti: incubi aquilani

di Alessandro Da Soller

Quella mattina Viviana si alzò prestissimo, anche se sarebbe dovuta entrare a scuola un’ora più tardi. La lezione di matematica non c’era, perché la professoressa aveva avuto un contrattempo. Da ragazza diligente quale era, preparò la borsa e si vestì in fretta senza capire il perché. Aveva una strana sensazione, come se dovesse partire e non tornare per molto tempo. Piegò il pigiama con cura, mise a posto la scrivania colma di foglietti, poi si diresse in bagno e, come tutte le mattine, evitò di perdere troppo tempo con un maquillage che riteneva superfluo. Si pettinò con le mani le lunghe ciocche bionde, tirando indietro le spalle larghe, che le conferivano un aspetto da atleta.

Tornò nella sua stanza, e si vestì con quel tocco di casualità e ricercatezza che le piacevano molto. Era bella fuori e dentro, e lo sapeva. Per questo a ventuno anni, ancora non aveva trovato il ragazzo che le aveva fatto battere il cuore. Tutti troppo superficiali e attirati dal calcio o da un sesso acerbo. Avrebbe voluto un coetaneo che si interessasse di qualcosa di più profondo, altro che passare le giornate a giocare con la Playstation. Per non parlare della musica. Lei amava il rock di Bruce Springsteen, mentre sia le amiche che i maschietti, erano rapiti dalla house. La giornata trascorse tranquillamente, anche se c’era qualcosa che la turbava e di cui non riusciva a catturare il nocciolo. Una sensazione di disagio le stringeva la bocca dello stomaco. Dopo cena ebbe per un attimo un forte senso di nausea, che addusse al piatto di pasta. Mangiava pochi farinacei, preferendoli ai minestroni e ai passati di verdure. Si mise a letto, ma non riuscì a chiudere occhio. Era tesa, c’era qualcosa che non andava. Bevve una camomilla, infine si coricò di nuovo. Riuscì a chiudere gli occhi per qualche ora, poi, come se una mano le avesse tirato le coperte, si svegliò di soprassalto e andò a vomitare al bagno. La tensione nervosa non si era stemperata, anzi, stava peggiorando. Spaventata, andò a chiamare le amiche che dividevano con lei il piccolo appartamento. In breve furono per strada. Una bella passeggiata di sicuro l’avrebbe rinfrancata, restituendole il sonno.

Mentre camminavano per corso Federico Secondo, in direzione piazza del Duomo, l’aria si fece immobile. Uno stormo di uccelli si librò in aria gracchiando rumorosamente e i cani iniziarono ad ululare. Una sensazione di rallentamento irreale la pervase. Ci furono una manciata di secondi in cui sembrò che il tempo si fosse fermato.

Poi…

BBBRRRRAAA

Un rumore grasso riempì l’abitato e l’asfalto iniziò a tremare, restituendole una grave sensazione di presagio.

KRASSSHHH

I vetri della palazzina di fianco andarono in frantumi, mentre le vecchie case di fronte iniziarono a ondeggiare paurosamente. Tutta la strada iniziò a muoversi, e le urla degli abitanti rimbalzarono, soffocate dai tramezzi che crollavano tutt’intorno. Erano le ore tre e trentadue minuti. L’Aquila era sotto l’assedio del terremoto. Viviana e le sue amiche riuscirono a scappare incolumi, mentre tanti altri morivano sotto le macerie. Sconvolte e con gli occhi pieni di lacrime, si accasciarono nei giardini comunali, che di minuto in minuto si andavano affollando di persone disperate, consapevoli di aver perso i cari, la casa e tutti gli averi. Uomini, donne e bambini in pigiama si abbracciavano, mentre i feriti gemevano disorientati. Le sirene delle ambulanze, così come quelle dei vigili del fuoco, ruppero il silenzio ovattato di una città spezzata in due.

Con il passare delle ore, i telegiornali riportarono le immagini di un centro storico sgretolato sotto la forza degli eventi. Oggi Viviana vive nelle casupole messe a disposizione da una burocrazia che, almeno nella disgrazia, è sembrata meno lenta del solito. Non esiste più un centro storico con lo struscio, dove poter serenamente passeggiare o fare shopping e i negozi sono tutti chiusi, così come le chiese.

I monumenti sono imbustati come se fossero dei malati terminali. Il quartiere dormitorio, che ospita decine di migliaia di persone, sembra un presepe monotono realizzato da un artigiano senza fantasia. Il lungo anello stradale che lo circonda, è sempre intasato, perché trafficato da chi una volta, scendeva a piedi per fare la spesa. Non ci sono più le botteghe di quartiere, e i negozietti dove si scambiavano quattro chiacchiere sono spariti. Le persone anziane, sono costrette a chiedere aiuto a chi può andare al più vicino supermercato.

Sono cambiati gli indirizzi del medico di famiglia, del dentista, dell’avvocato, dello studio commercialistico, del sarto, e comprare un pacchetto di sigarette è diventata un’impresa. Anche il rituale più consono ad un italiano è fonte di grande disagio, perché non esiste più un bar. Quindi per assaporare un caffè con la crema, si deve prendere l’auto e arrivare al solito centro commerciale, con l’aggravante che l’inquinamento atmosferico ha subito una notevole impennata. Per vedere un film o assistere ad uno spettacolo teatrale, bisogna andare in un’altra città. Sono cambiati anche i vicini di casa. Ieri c’era la signora Maria che buttava un occhio ai tuoi figli, oggi c’è qualcun altro che non conosci e di cui, ovviamente non ti puoi fidare. Alcune strade non hanno ancora un nome e si è costretti a dare indicazioni come se ci si trovasse in una foresta di cemento. Le abitazioni sono piccole, e tutti hanno lasciato il cuore nelle case che li hanno visti nascere, crescere e invecchiare.

Viviana si è laureata, ma fatica a trovare lavoro.

Viviana vorrebbe sposarsi e avere un figlio.

Viviana non mise piede nella città per molto tempo, fino a quando un giorno, una voce interna la costrinse a tornare. Percorse le strette vie deserte guardandosi intorno. Le macerie erano sparite, ma lo sfacelo era ovunque.

Una cosa la colpì nel profondo, il chiasso assordante del silenzio.