
di Roberta Mancini*
Il pezzo di questo mese nasce da un’esperienza vissuta direttamente qualche giorno fa. Quanto bastava a confermarmi che le lezioni di vita impartite dai bambini siano le migliori in assoluto.
La mia professione mi ha regalato anche amicizie grandi e durature con alcune mamme che mi permettono di mantenere i rapporti, liberi ormai da ogni vincolo professionale, con alcuni dei bambini che ho seguito. In particolare qualche giorno fa mi sono trovata a giocare felicemente con due di loro – che hanno mantenuto con mia grande felicità un rapporto intenso fin dai tempi del nido, proseguito anche a scuola materna e, dal prossimo settembre, alle elementari – a Monopolino, un gioco che ho amato spassionatamente anche durante la mia tenera età.
Nel mio personale allenamento volto a risparmiare attriti inutili, maturato certamente durante il corso di anni a stretto contatto con i più piccoli, ho provato a tergiversare su chi di loro avesse vinto ma quando ho notato che entrambe avrebbero voluto conoscere l’esito della partita mi sono lasciata scappare una promessa e un luogo comune: «promettetemi che chi non ha vinto non si offende. L’importante è partecipare.» Ma detto il nome mi sono sentita rispondere dalla perdente: «non fa niente. M. rimane sempre la mia migliore amica. Anzi, ora le do anche i miei soldi.»
Ecco, io credo che quando si urla troppo alla competizione gratuita che vige tra i bambini non si fa appello alle risorse che la maggioranza di essi hanno e mettono in pratica quando meno ce lo aspettiamo. Come genitori e come educatori abbiamo la responsabilità di non incitare oltremisura l’egocentrismo, già fin troppo presente in maniera innata, dei nostri bambini, facendo ricadere su di loro a volte il nostro personalissimo bisogno di spiccare, le nostre ansie rispetto alla possibilità di eccellere in qualcosa verso il quale ci sentiamo in difetto. La risposta simile di una bambina di sei anni può essere la dimostrazione di come, nel suo contesto familiare, non si verifichino pressioni di questo genere. Pressioni, che se divulgate nel tempo, possono generare stress emotivo e insicurezza, soprattutto laddove il bimbo convince inconsciamente se stesso di dover dare il meglio di sé per condiscendere uno o entrambi i genitori.
Dimostrarsi scontenti dinanzi a un risultato negativo rende il bambino vulnerabile e può portarlo a fraintendere che l’origine dell’affetto familiare sia dettato dai suoi successi. Dove si verifica un insuccesso è fondamentale presentarsi da alleati più che da bastian contrari; permettere al bambino di sviluppare in parole ciò che sente, frenandolo quando le dimostrazioni di dispiacere possono risultare esagerate, se non addirittura violente.
Parlare di competizione si può relativamente solo dopo i quattro anni quando la fase egocentrica si assesta e i bimbi si avviano ad un processo di sviluppo in cui sono pronti a far entrare anche gli altri bambini nel loro mondo, ad interagire insieme a loro nella fase del gioco, e a rispettarne al meglio delle loro possibilità le regole che ne disciplinano i passaggi. Segni dell’inimicizia genitoriale o di chi lavora nel campo sono senz’altro le critiche senza arte né parte, superficiali, ingiustificate che guidano il bambino a una errata considerazione della sconfitta o del demerito. I prodotti di un rapporto vincente, al contrario, sono il dialogo e senza dubbio l’esempio. Quello buono, che non deve mancare mai.
Con questo siamo arrivati a luglio e quindi… Buone vacanze a tutti!
*[i]Roberta Mancini {{*ExtraImg_221884_ArtImgRight_300x210_}}
ha 28 anni ed è stata un’esperta baby sitter. Aquilana doc, è un’educatrice infantile. Si è occupata di assistenza, tutela ed educazione di bambini dai 3 ai 36 mesi. Le principali attività svolte a supporto dei bambini sono state: di tipo grafico-pittoriche, attività manipolative e di tipo motorieHa conseguito il diploma di Liceo delle Scienze Sociali presso l’Istituto d’istruzione superiore ‘Domenico Cotugno’ di L’Aquila[/i].