
di L.S.
Per la seconda volta in dieci giorni l’Abruzzo conquista le pagine della stampa nazionale per la malagestione della cosa pubblica. Una seconda pesante tegola della Corte dei conti, dopo quella relativa al disastro contabile, si abbatte sulla Regione, questa volta in buona compagnia di molti comuni nella pessima gestione delle società partecipate.
Sono società che si occupano di cose importanti: acqua, gas, rifiuti e trasporto pubblico, ma ce ne sono molte che si dedicano dall’informatica alla pesca, dalle manutenzioni allo sviluppo locale. E si chiamano partecipate perché, forse, partecipare alla spartizione del bottino è bello, e la voglia di partecipare è incontenibile per il sottobosco di pseudomanager alla greppia della politica. Nelle società più o meno pubbliche frullano gli appalti, girano soldi grossi, i controlli sono quasi inesistenti e la conseguenza è ovvia: i bilanci finiscono in profondo rosso, ripianarli tocca ai cittadini, ovvero a noi, con le tasse più alte e peggio spese del mondo occidentale.
La Corte dei Conti le ha messe nel mirino, ed ancora una volta il fuoco centra l’Abruzzo. In Abruzzo, in buona compagnia di altre sette Regioni molto spregiudicate (gli anglosassoni le definirebbero canaglia), «le perdite di esercizio delle partecipate – scrive la Corte dei conti – risultano in larga misura superiori agli utili». La Corte bacchetta pure la Regione per gli «eccessivi affidamenti in house», il che significa che queste società in rosso non usano fare affari in modo trasparente ed efficienza. Queste società sono il poltronificio della peggiore politica e sono così tante che non se ne conosce neppure il numero esatto.
L’analisi della Corte è spietata: nelle sette Regioni in profondo rosso, tra le quali primeggia l’Abruzzo, le perdite delle società partecipate superano di gran lunga gli utili, mentre la gestione finanziaria dimostra una netta prevalenza dei debiti sui crediti.
Insomma un vero disastro. Certamente la Regione e molti comuni abruzzesi non fanno una bella figura nei confronti del panorama politico e amministrativo nazionale e, come nel caso dei rendiconti virtuali denunciato pochi giorni fa dalla stessa Corte dei Conti, ne emerge un quadro di superficialità, noncuranza ed incompetenza che generano le gravi censure dei magistrati contabili. Incredibile poi la sicumera e la spocchia di molti politici di fronte alla gravità dei ripetuti rilievi della Corte, uno sfregio che gli abruzzesi sicuramente non meritano.
Il presidente della Regione “facile e veloce”, come D’Alfonso ama dire, deve assumere la consapevolezza della gravità della situazione ed affrontare per le corna il tema dei controlli che evidentemente non funzionano come dovrebbero. La logica del check and balance, del controllo e bilanciamento reciproco tra governo e consiglio regionale, non sta funzionando e ciò pone un forte problema di funzionalità delle strutture di giunta preposte ai controlli e del Consiglio regionale. Il Consiglio, in particolare, dovrebbe svolgere pregnanti attività di controllo, e tali funzioni si esplicano anche nell’esercizio della funzione ispettiva nei confronti della Giunta: l’analisi dell’attuazione delle leggi, la valutazione degli effetti delle politiche regionali e la verifica del raggiungimento dei risultati previsti.
C’è qualcosa che non funziona, c’è molto che non funziona. Anche sulle questione delle partecipate della Regione, il Consiglio è apparso quanto meno distratto, per non dire supino agli ordini dell’esecutivo.
Occorre aprire senza indugio una riflessione, da parte del presidente, sulla efficacia nella gestione delle prerogative del Consiglio. Non c’è tempo da perdere. Non ci sono alternative, anche perché, come insegna l’antico proverbio non c’è il due senza il tre. E la gente d’Abruzzo, se non vuole sprofondare nelle classifiche della credibilità nazionale, non può permettersi ulteriori brutte figure. Basta così, grazie.