
di Raffaella De Nicola
C’è un luogo, a L’Aquila, meraviglia e mistero, che racconta nel silenzio del bosco un alito mistico che da qui si è diffuso e ha lasciato un testamento. San Giuliano.
Querce secolari e conifere si allungano su chi raggiunge Madonna Fore o la Crocetta, ritrovata ritualità del post-terremoto. Ma indietro nel tempo, in queste forre che arrivano all’altopiano di Collebrincioni, anacoreti ed eremiti abitavano le grotte di una montagna che incanalava, già dal 1308, le sorgenti nell’acquedotto di Sant’Anza.
Qui dal 1415 il conventino, povero ed essenziale nello spirito dell’Osservanza francescana, rocce pietre e legno, si aprì alle frontiere di un’ Europa che ancora non esisteva, migliaia di frati in mezzo a questo bosco, che ora attraversiamo per arrivare alla Vecchia Madonna del Cascio o Madonna Fore, in diversi capitoli generali decretandone l’importanza. In questo convento, su questa terra, si intrecciarono scintille di santità se San Bernardino da Siena, San Giovanni da Capestrano e San Giacomo della Marca definirono, in un vincolo di fratellanza, il profilo di un territorio oltre la linea del proprio orizzonte. E il nome di Cristo, inscritto nel sole a raggi serpeggianti, disegnato dallo stesso San Bernardino, sceso sui portali e i vessilli della città dell’Aquila come impronta, ostentato su questa tavoletta con fondo azzurro tenuta da San Giovanni da Capestrano nelle prediche, mi folgora nella sintesi del messaggio cristiano che ora io guardo, con i loro occhi, nella mostra “I sensi dell’arte e della fede 600 anni del Convento di San Giuliano”, mentre il Beato Vincenzo dell’Aquila , accigliato, la cui celletta è possibile raggiungere con pochi passi su questo itinerario mistico, contempla la Passione del Crocifisso secondo la rappresentazione che ne ha fatto Saturnino Gatti, maggiore esponente del Rinascimento artistico aquilano. L’esposizione, essenziale e sobria, accessibile alla diversità sensoriale, replica nell’allestimento il linguaggio della povertà francescana, tela di juta e tavole di legno, e dà volto ai visi emaciati dei tre santi, consumati e resi simili dalle privazioni, ricostruiti per la visita tattile che avvicina i nostri tempi ai loro, a quell’umanesimo francescano che ha tracciato un percorso lungo tutta Europa.
Lo ritroviamo, San Giovanni da Capestrano, in una missione che continua, oggi come allora, sull’avanzata dei mussulmani, nell’iconografia dei più importanti musei, Louvre, Anversa, Praga, nella pietra, il pulpito cha ha il suo nome nel Duomo di Vienna sovrastato proprio dalla sua figura invasata dalla parola di Dio, o nella statua a Budapest, Lui patrono dell’Ungheria, Lui Santo Guerriero che a capo di un esercito fermò l’avanzata turca a Belgrado nel 1456 e, per questo, onorato come apostolo d’Europa. Ma scriveva, proprio da Cracovia, fango e sangue di battaglia, sferzante agli aquilani, sollecitando San Giacomo della Marca per la costruzione del mausoleo del loro Maestro, basilica intramoenia controaltare a quella extramoenia di Collemaggio dell’ordine dei benedettini di Celestini. Ed è una zappetta nella mano di San Giacomo a delineare il perimetro del cuore dell’Osservanza francescana, la Basilica di San Bernardino, a monte del quartiere medievale, un piedistallo gradinato, suggello della devozione civica della città dell’Aquila alla cui sinistra, sempre San Giovanni, volle far edificare l’ospedale San Salvatore. Presenze religiose che entrano nel tessuto connettivo sociale e politico, riformatori di costumi e ordini, combattenti l’usura con la fondazione del Monte di Pietà di San Giacomo della Marca, a sostegno dei commercianti e degli imprenditori, che aprono la città alle meraviglie dell’arte del Quattrocento.
Ed infatti, proprio qui, su questo monte così caro agli aquilani, fra le querce che allungano i rami quasi a voler raccontare le storie che implodono dalle loro radici, si svela l’ultima meraviglia, l’ultimo regalo di questo bosco. Nel piccolo e umile nucleo originale, il conventino, sotto i nostri occhi alzati che girano sulla volta, il racconto della vita di Cristo, il viso della Madonna nell’Annunciazione o Natività, ci sorprende per le velature di questa testimonianza “a secco”, raro e delicato monocromo cinquecentesco, che ha parlato ad un presente vestito di futuro che ora è passato. Cifra stilistica di un territorio, cultura insita nella bellezza, guardiana e custode di una comunità cittadina che lì si rispecchia e lì’, in quelle scintille visionarie, fra il silenzio del bosco ritrova i propri percorsi, tracciati, sin da allora, dal respiro dei tre santi.
I Sensi dell’arte e della fede – 600 anni del convento di San Giuliano – a cura di AquilaArtes. Fino al 24.10.2015. Info Tel. 392.5092542 – 349.4542826 e-mail: aquilartes@gmail.com
Per le immagini della incredibile volta del conventino rimando ad un ottimo video su youtube di Giovanni Lattanzi.