Sul possibile ingresso dei Comuni del Frusinate in Abruzzo

di Enrico Cavalli
L’istituto della Provincia, sorto nel sistema amministrativo dello Stato unitario, per corrispondere alle esigenze autonomiste dei vecchi Stati pre 1861, quindi, sedare ipotesi di spinte federaliste centrifughe, ha avuto, dopo l’accentuazione centralistica del Ventennio, in ambito della Costituzione repubblicana del 1948, la caratterizzazione di un ente intermedio fra comune e regione e che nell’era degli spending rewiew governativi, sarebbe da accantonare per supposte macro-regioni.
Il marasma politico-istituzionale italico, salva ancora l’ente provincia, al di là del recente verticismo che lo legittima non più tramite il voto del corpo elettorale, e, per quel che attiene all’Abruzzo, tra prospetti di riunione al Molise, ed associazioni alle Marche e Puglia in senso di assi regionali Adriatici. Ma perché non, allora, col nord della Campania, viste le ultime scoperte archeologiche di un esteso crogiuolo sannita e normanno, l’uno dal Sangro castellano al Sulmonese, l’altro fino a L’Aquila?
Senza contare che da quasi un secolo, restano inevase, le aspirazioni di comuni del Reatino e Frusinate a ricreare dei possibilissimi connubi con l’Aquilano e Marsica; la stesse necessità di spostare più a sud, in un provincialismo Sulmonese piuttosto che Vasto-Lancianese, l’Abruzzo, che invece di quattro province orientate verso il nord, con gerarchie territoriali più equilibrate, sarebbe in rampa di lancio anche verso aree mediterranee critiche, ma, foriere di orizzonti socioeconomici e culturali fondamentali.
Nei libri di geostoria (sic) in uso nelle scuole pubbliche, potrebbe apprendersi che l’Abruzzo e se vogliamo, la provincia dell’Aquila, annoveri altri illustri personaggi nella sua nobile e secolare vicenda, quali Marco Tullio Cicerone, Gaio Mario, Marco Vipsanio Agrippa ed il pittore rinascimentale Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino. Questa la recente notizia desumibile dai mass media e siti telematici laziali ed abruzzesi, a seguito della indizione di un referendum consultivo da parte del comune di Arpino, che ritenutosi sottovalutato dalla Roma-Capitale, si dice pronto ad ingrandire la regione viciniore con cui in passato, ha avuto aderenze di taglio amministrativo. Arpino e altri centri suoi limitrofi, poiché territorialità del generale Ducato di Sora, appartennero nei secoli XIV e XV ai potentati dei Cantelmi di Popoli e progressivi dei D’Avalos di Vasto, sebbene, poi, gravitanti in Terra di Lavoro fino al fatidico 1927, allorquando, questo compartimento casertano venne ad ingrossare il laziale Frusinate. Sulla scorta delle mutazioni agricole di fine’800, gli stessi tracciati stradali e ferroviari, dalla metà del’700, nella variegata socialmente vallata del Liri e relative impiantazioni industriali, facevano il verso ad analoghe infrastrutture e bacini produttivi dalla valle di Popoli e Bussi alla Marsica ad indicare, insomma, di un potente vicinato fra queste aree della regione Appenninica, magistralmente, descritta dal grande geografo Pierre Vitte in uno studio incommensurabile del 1995.
Trattasi quello di Arpino, dell’ennesimo tentativo di approccio ad un Abruzzo che a questo punto, vista la crescente smentita della separazione costituzionale 1963 dal Molise e relativa convergenza polemica ad Isernia dei centri Sangrini, i più volte citati su queste colonne, sommovimenti sempiterni dell’area sabino-reatina, può pensare di costituire sé stessa una importante regione cerniera fra Nord e Sud, come ante 1861 e non più pressabile dalla Capitale o dinamiche costiere.
Tale prospettiva, impedirebbe di scivolare verso quella declinazione geografica-mente formale e poco sostanzialmente amministrativa della Macro-Adriatica e che al momento circa l’approccio alle Marche, manca della consapevolezza dei legami dell’Ascolano all’Aprutino e se vogliamo estendibili all’Aquilano, per via della comune tradizione economica risalente all’epoca di Margherita d’Austria, con buona pace della Val Vibrata più querula; circa l’approccio alle Puglie, manca clamorosamente il discorso della storica stagione della Transumanza che vide Aquila ”magnifica”e seconda città del Napoletano.
Dal suaccennato 1927, quindi, si contano desideri di reingresso o aggregazione alla circoscrizione abruzzese, magari. legati alle stagioni politiche e/o a strumentalismi territoriali. Particolarismi o meno che siano, a giudizio di una politica più pontificatoria che concreta, tuttavia, stanno a denotare che aree dalla caratterizzazione montana e dai valori identitari da difendere, intendono palesare la propria esistenza nella era della montante globalizzazione, guardando all’abbraccio sinergico con altre zone omologhe per secolare cultura ed intraprese civili e religiose dal solido riferimento storico.
L’ingresso dell’Abruzzo in una macroregione con Marche, Molise, ha un precedente nei concetti della politica sabauda dei Minghetti nel 1861 e Crispi nel 1890 e che infatti, previdero il passaggio dell’UlterioreI-teramano e Citeriore-chietino con il compartimento Piceno, mentre, sarebbe stata abbandonata ad altri ed ipotetici approdi l’Aquilano e che invece, resistette, al pari delle consorelle abruzzesi, a tali formidabili pressioni per il calibro morale dei suoi massimi reggitori municipali, si badi, in clima liberaldemocratico.