Reportage dall’Aquila a San Valentino

di Raffaella De Nicola
Il rosso delle rose spezza il grigio di una foresta di gru. I ragazzi portano fra le mani questi mazzi nel giorno di san Valentino. Non sanno dove è via Sallustio o via Roma, Marrelli e Accursio sono due blogger. Ma tant’è. Sono belli lo stesso, anzi ancora di più. Scrivono la loro vita in un limbo sospeso di nuvole e polvere, ma non lo sanno. Le mura illuminate abbracciano, quelle sì, una città ancora vuota che come un tentacolo entra e scardina i ricordi, aguzzini spietati per noi che li abbiamo. Qui l’ impazzire ha un’autostrada asfaltata. Città di frontiera, L’Aquila, le dogane mentali incastrate in un non luogo, una quotidianità che asciuga residui di risorse, la sensazione perenne di essere fuori posto. 5000 residenti persi dopo il 2009, risaliti a scarsi 3000 unità grazie anche alla presenza straniera. I cantieri della ricostruzione occasione mancata per gli operai aquilani, sono solo il 23,81% su 420, pari quasi al 23% di stranieri, alla faccia delle opportunità per i residenti. La propaganda dei sottoservizi nel centro da bloccare, anzi sì, anzi no, credo ni, forse perché chiamati tunnel intelligenti. Il fattore X delle iscrizioni all’Università, diverso dall’ X factor, magari ci fossero anche solo piccole molecole, scese, sì ok in tutta Italia, ma qui in modo terrificante, nessuna richiesta di proroga per l’esenzione delle tasse, il numero chiuso per medicina bocciato per fortuna dal TAR, si punta forse alla qualità sulle spalle di un’economia ridotta all’osso, e chissà mai perché si dovrebbe studiare a L’Aquila, imbalsamata ancora nel cratere del sisma, trasporti, servizi, fitti alti, scenario incompleto che spunta da una polvere scambiata per nebbia. In aumento la dipendenza dal gioco d’azzardo e il ricorso agli accessori sociali. La vita cittadina relegata alle ore dei lupi mannari: si esce quando spunta la luna, purché il sole sia tramontato e ci si muove con l’aiuto degli infrarossi, visto il buio pesto. Di giorno ci si avvita su rotonde e solitudine. Al bancomat, consuetudine nuova, si va esclusivamente con la scorta e tiratori scelti. Una politica regionale che pensa in grande, il Macro contro il micro, guarda la costa e volta le spalle all’ interno, in una visione dell’Abruzzo tagliato non più secondo la linea orizzontale citra – ultra, ma verticale adriatico-montano. E non siamo certo in Trentino o Valle d’Aosta dove le volontà rafforzano con servizi e politiche di sostegno le aree interne. Contro tutto questo le persone comuni, fedeli, la dirompente bellezza svelata, l’arte che ritrova il suo linguaggio e riallaccia il presente, magnifiche presenze quelle dei cortili e dei palazzi, dettagli nascosti, prima, dall’abitudine di guardarli senza vederli. Il grande progetto di Piazza d’Armi, il parco delle acque con l’Aterno, le nuove strutture sportive che sposano una potenzialità mai sufficientemente calcata, piste ciclabili, la smart city, scuole di specializzazione, si spera. Bella eri bella sarai, per ora quinta di teatro con ologrammi
Il ragazzo è quasi arrivato. Ha un po’ sciupato il mazzo di rose, è quasi imbarazzato nell’allungarlo a mani femminili, di pietra, di una città, rinnovando una fedeltà ereditata quando inondano le vie del centro per incontrarsi in mezzo al nulla. Commoventi. Sullo sfondo rosso di quei petali carnosi si sono mosse le ombre di persone che in questi anni hanno confermato, nel silenzio pesante di una città abbandonata, un’ autentica, appassionata promessa al grembo urbano. Un legame imprescindibile, molte spine qualche rosa, intelligenze nascoste o eclatanti che muovono energia e fanno partire, anche da qui, nonostante tutto, il canto delle onde gravitazionali che apre nuove visioni allo studio dell’universo, parla al mondo intero, guarda al nobel della fisica in un ossimoro distruzione/ricostruzione che ha il sapore dell’infinito, del cosmo, degli astri, nell’ attesa di ritrovare, finalmente, un abbraccio in questa storia di amore capovolto.