Giovanni Di Pangrazio trasformista verso la grande ammucchiata elettorale

Tra un anno si vota per eleggere il nuovo sindaco di Avezzano e la politica scalda i motori. Sono iniziate da tempo le riunioni più o meno carbonare nelle segrete stanze e la questione dirimente è l’eventuale Di Pangrazio bis.
In città la delusione è palpabile: troppe le promesse fatte, troppo poco il realizzato. Il “programma di mandato”, sulla base del quale gli elettori hanno conferito fiducia al sindaco, è ormai ridotto a carta straccia, sia per la pochezza dei risultati raggiunti sia per i continui cambiamenti della maggioranza per cui i cittadini hanno votato. Consiglieri di opposizione che ora si trovano in maggioranza ed esponenti di maggioranza che ora si trovano all’opposizione. Una palude, un caos totale, una piccola politica melmosa, con al centro il perseguimento di interessi personalistici e la perdita totale di qualsiasi riferimento di valore sono la conseguenza della politica “senza ideologia e senza steccati” (come ama definirla il sindaco). La politica dei dipangrazios verso l’appuntamento elettorale del 2017 è sin troppo scoperta: creare una grande coalizione senza riferimenti di valore, ovvero priva di qualsiasi visione del mondo che solo l’ideologia può dare, e capitanata dall’”uomo solo al comando”, da quel Gianni “supertecnico” (come ama autodefinirsi il sindaco) che sempre più mostra i caratteri tipici del monarca assoluto che non ama né critica né confronto. Il modello del sindaco è quello della grande palude o se preferite della grande confusione, in maniera tale che sia lui e sempre lui a dire l’ultima parola, a dare le carte come un consumato giocatore di poker (come nel caso vergognoso del referendum sull’isola pedonale a fine mandato).
Il tentativo del sindaco di costruire la “grande coalizione” nasconde la solita furbizia ed una buona dose di finta ingenuità. Il sindaco percepisce di aver perso il consenso di molti elettori e cerca di recuperare voti, e lo fa con il disperato tentativo di catturare pezzi del centro-destra. Ma queste operazioni, la storia insegna, non portano voti aggiuntivi: i conservatori non diventano progressisti e caso mai si accentua il processo inverso, ovvero si perdono i voti di opinione e della sinistra. Una “grande coalizione” imperniata su un’unica grande maggioranza “istituzionale”, senza riferimento alcuno alle scelte di fondo, non funziona, trasforma tutto in melma e palude, nega ogni possibilità di ricambio fisiologico della classe dirigente. Insomma, la trovata dei dipangrazios a far blocco al centro produce di norma l’effetto negativo di inibire l’alternanza. E la benefica “trasformazione” dei partiti, evocata dal sindaco come evoluzione positiva dello scenario politico, si muta invece nel suo peggiorativo: il trasformismo come tomba di ogni genuino contrasto di idealità, di scelte e di programmi.L’avvento della “grande coalizione” sarebbe la morte della città di Avezzano, condannata da una pura manovra di potere che mira a salvare la traballante poltrona del sindaco, rosicchiata alle fondamenta dalla pochezza dei risultati raggiunti, dall’irrilevanza dell’azione del fratello Peppe alla Regione ed assediata da vicende giudiziarie tutte ancora da chiarire (il processo al primo cittadino si apre il 21 aprile, e l’attesa è grande…).Il successo della grande ammucchiata può dipendere, almeno in parte, dalla capacità della società civile di Avezzano di mettere in campo i giusti anticorpi al virus della politica piccola e trasformista dei dipangrazios. E’ il momento delle scelte: le opposizioni devono esprimere un programma solido, una coalizione, un leader capace ed una squadra che sappiano far uscire Avezzano dal fosso in cui la città è finita dopo quattro anni di cattiva amministrazione. Nel gioco della democrazia vittorie e sconfitte si assegnano in base al conteggio dei voti. E’ ora che l’Avezzano laboriosa e degli onesti si svegli. Ora o mai più. Ora o altri cinque anni così, ovvero la fine.
L.S.