Et terra mota est. Scritto sulle macerie. Una vana speranza ?

C’è un racconto di Enrico Macioci che è la sintesi quasi perfetta e subliminale di quello che è stato il terremoto a L’Aquila.
E’ compreso in una raccolta dl titolo “Terremoto” pubblicato da Terre di mezzo editore nel febbraio 2010. Il racconto ha come titolo “Tendopolis” ed è una corale rappresentazione di uno stato del tempo e della storia di un evento che trovò nelle tendopoli la chiave di lettura di un discorso dell’anima. Discorso silenzioso perché le voci ne alimentarono la vita, seppure breve, seppure provvisoria avevano i toni di quella che fu l’arte di donare un sogno attraverso la realtà narrata,cantata, quasi simile a quella della tragedia greca. Da quelle tendopoli si alzò un coro che voleva un’altra Aquila ,un’altra città ,un’altra storia. Quella che avrebbe dovuto insegnare (come “Maestra di vita“)a costruire case e scuole sicure, a riscoprire i valori ,ad affermare che falsità, ruberie, scorciatoie di comodo possono provocare solo danni. Danni indelebili che marchiano la fisonomia etica della città in ben altro modo dei danni materiali che presto o tardi, quest’ultimi, si riparano. “Una vana speranza?” (il punto interrogativo è nostro) è una poesia di Stefano Amorese che restituisce a sette anni dall’evento il clima di quelle tendopoli dalle quali si sarebbe dovuto ripartire portandosi dietro, nel percorso fin qui fatto, tutto quello che le voci dell’anima dissero, sussurrarono, cantarono, gridarono, protestarono, supplicarono,sognarono.
UNA VANA SPERANZA
Una trenodia di 99 cannelle
accompagna sommessa centinaia di feretri in fila
sulla piazza d’arme della caserma
dove inerme depone le insegne
anche il Guerriero di Capestrano
su cenere e porpora asperse sui crisantemi…
Sono Preghiere di Dolore
Per la Terra martoriata
che Nostra Signora delle lacrime
non può lenire….
Nonostante il rammarico
di quel sofista politico
sospeso a mezz’aria
disarcionato a cavallo
della ruspa dentata
a cui è stato sottratto il boccone…
Per una mano emaciata
sporta fra i cumuli
di architetture di sabbia…
prolungando la Vita
e una vana speranza.
Stefano Amorese (Roma 1965). Ha realizzato svariate rigorose autoproduzioni editoriali, fra tutte la plaquette “Samizdat” (dal verbo russo Samoizdatel’stvo, “pubblicare da sé”), scritto e interpretato “Per ludum dicere” (una rappresentazione di teatro di poesia) composto un gruppo di componimenti poetico-teatrali a voci plurime dal titolo “Glifi apocrifi e geroglifici ipertrofici”. Al suo attivo interventi radiotelevisivi, partecipazioni a rassegne poetiche, collaborazioni per elaborati sinestetici. Suoi testi sono presenti in diverse antologie, su riviste varie e in Rete. E’ autore della raccolta poetica: “Psicofantaossessioni” (LietoColle, 2007). La maggior parte delle sue composizioni usa attribuirle al suo pseudonimo Faraòn Meteosès.