Amatrice, il valore delle parole

30 agosto 2016 | 11:38
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Amatrice, il valore delle parole

di Fulgo Graziosi

Le polveri sollevate dai crolli dei fabbricati sono ancora nell’aria, non si sono depositate. La tragedia che si è consumata nella notte del 24 agosto assume proporzioni immani rispetto alla dimensione della piccola cittadina posta ai confini laziali.

L’ora del sisma, con un ritardo di appena quattro minuti rispetto a quello dell’Aquila, ha voluto cementare in maniera indissolubile quel cordone ombelicale che ha legato da sempre Amatrice a L’Aquila per usi, costumi e affetti di lunga data. I rapporti tra le due popolazioni non si sono mai assopiti e divisi, malgrado la separazione geografica e politica posta in atto nel 1927 per dare vita alla Provincia di Rieti. Tanti ricordi affollano la mente. Taluni di essi provocano uno stato di agitazione e commozione. Le prime gite al Lago di Scandarello, ad Amatrice, a Illica. I compagni di scuola. Gli amici veri, con i quali non ci si vedeva spesso, ma con legami familiari e personali dai valori incommensurabili.
Nello stesso istante in cui abbiamo avvertito la scossa di terremoto, la mente ci ha riportato alla notte dell’aprile 2009. Abbiamo avuto la sensazione che quell’evento non sia mai cessato. La terra ha tremato di nuovo. Ha ondeggiato in maniera minacciosa. Questa volta, però, non abbiamo sentito quel terribile boato che distrusse l’animo nel 2009 l’animo degli aquilani. Il tremore non si fermava mai. Il primo pensiero è stato per figli e nipoti. Ci siamo precipitati in casa loro e, fortunatamente, i bambini non si sono accorti di nulla e hanno continuato a dormire. Con i moderni mezzi tecnologici abbiamo immediatamente appreso la zona dell’epicentro e l’intensità devastante del sisma, quasi identica a quella dell’Aquila. I mezzi di informazione, in particolar modo la televisione, ha cominciato a tracciare le dimensioni del dramma. Man mano che passavano i minuti si allargava il perimetro della tragedia. Nel quadro della evoluzione dei fatti si sono verificate situazioni edificanti di solidarietà immediata, di trasporto, di considerazione. Ci auguriamo che fatti del genere possano restare scolpiti nella storia perché, sicuramente, concorreranno a formare una società migliore. Ci sono esempi che commuovono. Toccano il cuore e l’anima in maniera tangibile perché sono realtà alle quali tutti dovremmo ispirarci. Non potevano e non dovevano mancare all’appello gli Alpini dell’ANA aquilana, tra i primi ad accorrere, così come avevano fatto all’Aquila, senza annunci e chiamate. L’avviso era stato dato dal sisma. Hanno fatto di tutto e di più, com’è nell’indole e nello spirito degli alpini. In questa azione, appare doveroso sottolineare, che sono stati assistiti e confortati dalla presenza del Sindaco dell’Aquila che si è precipitato ad Amatrice per portare la solidarietà dell’Amministrazione e degli aquilani ai cugini di Amatrice.
Questa terra, tanto bella, amata e disprezzata dall’uomo che ne ha fatto oggetto di scempio in tutti gli aspetti, ogni tanto rivendica il proprio tributo di vite umane, senza distinzione di età, di sesso, di ceto, di professione. Forse, ci punisce per le nostre irriverenze e per la irrefrenabile tracotanza dell’uomo. Ci toglie le cose più belle. Ci colpisce negli affetti più cari. Ci divide dai nonni, genitori, mogli, parenti e figli, ai quali avremmo voluto affidare la continuità, le tradizioni, la cultura, gli insegnamenti necessari per affrontare degnamente il futuro. Proprio in questa circostanza da alcuni uomini abbiamo ricevuto delle lezioni di vita che dovrebbero invitare ad una attenta riflessione sull’uso e sulla importanza che assumono le parole. Non bisognerebbe mai buttarle al vento. Occorrerebbe pensarci prima di pronunciarle, cercando di trovare quelle più consone ai fatti. Infatti, il padre della bambina salvata dalla sorellina e recuperata con perizia dai Vigili del Fuoco, dovrebbe sollecitare un momento di riflessione per una esame introspettivo serio e profondo. Questo padre non si è scagliato contro Dio per avergli fatto morire la bambina più grande. Ha ringraziato il Signore, con un groppo alla gola, per “avergli salvato almeno questa”. Sono quattro parole di immensa portata, di grande valore umano, sociale e religioso. Abbattuto, stremato, piegato dal dolore, ha trovato la forza per esprimere la sua riconoscenza a Dio per aver mantenuto in vita la sua piccola principessa.
Non ci sono stati soltanto genitori e parenti toccati negli affetti dal sisma. Ci sono anche uomini temprati, avvezzi per destinazione professionale, ad affrontare in ogni momento situazioni di emergenza. Pur consapevoli dei pericoli ai quali vanno incontro, si prodigano in ogni modo per portare aiuto, per salvare il salvabile e per recuperare, purtroppo, quelli che non sono riusciti a raggiungere in tempo, non per colpa loro, ma per la gravità e la tempestività dei fatti che si sono verificati. Anche in questo caso le parole scritte da un giovane Vigile del Fuoco aquilano, Andrea De Filippo di appena 27 anni, hanno risuonato nel mondo facendo annichilire spocchiosi e presuntuosi. “Scusa se siamo arrivati tardi, purtroppo avevi già smesso di respirare, ma voglio che tu sappia da lassù che abbiamo fatto tutto il possibile per tirarvi fuori da lì”. È una frase pesante, carica di umanità, di altruismo e, nello stesso tempo, di rammarico per non essere arrivati un momento prima per tirarla fuori sana e salva con la sorellina.
Non è sfuggita, oltretutto, agli occhi di tutti la compostezza, la signorilità, lo stile, la dignità del Presidente della Repubblica che, visibilmente commosso, ha avuto parole di conforto, di incoraggiamento, di assicurazione per tutte le famiglie colpite dal sisma che ha incontrato ad Amatrice e ad Ascoli Piceno: “Non vi lasceremo soli”. Le popolazioni dell’area laziale, abruzzese e marchigiana meritano ogni considerazione, tenaci difensori di questi territori piegati, non sconfitti, da un terremoto devastante.
Fulgo Graziosi