Arsenico nel fiume Pescara

di Roberta Galeotti
Oltre mille tonnellate di reflui contaminati da arsenico che venivano sversati dal Consorzio di Bonifica di Chieti nel sottosuolo e nel fiume Pescara.
Il Consorzio, autorizzato allo smaltimento di reflui, riceveva i rifiuti liquidi da una azienda della provincia di Pisa su gomma, li trattava miscelandoli a fanghi e li etichettava smaltendoli nella provincia di Fermo e di Ferrara.
Le indagini sono nate nel 2015 dalle continue lamentele e denunce dei cittadini che abitavano nella zona limitrofa al Consorzio, i quali lamentavano l’odore nauseabondo proveniente dai liquami trattati ed uno strano traffico di camion nelle ore notturne.
I Comandi del Corpo Forestale dello Stato di Chieti e Pescara hanno riscontrato l’alto tasso di arsenico, 1000 volte superiore ai valori consentiti per legge, ed hanno accertato che i liquami inquinati venivano mescolati a fanghi ed etichettati con codici falsi, per essere poi inviati in strutture non idonee a trattare liquami inquinati.
L’arsenico è uno dei metalli pesanti maggiormente inquinante.
L’attività investigativa ha riguardato il traffico illecito di rifiuti da parte del Consorzio di Chieti Scalo che era deputato alla depurazione di rifiuti liquidi e reflui civili.
Il Consorzio avrebbe dovuto controllare la regolarità dei liquidi, quando riceveva le cisterne di percolato, e avrebbe dovuto colmare le carenze depurative dell’impianto. Invece, a dispetto della sicurezza dell’impianto venivano messi in campo tutta una serie di escamotage per rimettere nell’ambiente i liquidi inquinati.
Colpiscono le parole del giudice Giuseppe Romano Gargarella, che ha firmato il dispositivo, che riscontra ‘quanto sia ipocrita interrogarsi circa le cause della ricorrente non balneabilità del mare o di odori nauseabondi dei fiumi o di ripercussioni negative sulla fauna ittica‘.
Sono stati tratti agli arresti domiciliari i tre dirigenti del consorzio oltre al tecnico di laboratorio che alterava i risultati delle analisi o che diluiva il contenuto delle provette da inviare all’Arta per i periodici controlli di legge.
“I reati ambientali – ha spiegato Antonio Laudati della direzione distrettuale antimafia – sono dei reati vaghi, poiché non consentono la quantificazione effettiva del danno all’ambiente e all’uomo. In questi reati la vittima non ha volto.”
Il sostituto procuratore Antonietta Picardi ha spiegato che la gravità dei reati ha obbligato gli inquirenti ad intervenire per porre fine al devastante inquinamento del Consorzio, nonostante le indagini avessero fatto trapelare un collegamento, confermato dal comandante regionale del CFS Ciro Lungo, del consorzio chietino con alcune aziende chimiche di Taranto. Le indagini proseguono: intanto il consorzio è stato sequestrato ed affidato al commissario Andrea Colantonio.