Roio, i danni alla chiesa e al cimitero



di Fulgenzio Ciccozzi
Quest’anno il freddo è sceso con largo anticipo sulle nostre valli. A Roio, le prime nevi autunnali hanno già imbiancato le cime dei monti circostanti. Costaranni e le Quartare sono coperte da una leggera coltre di neve. Dietro di esse, spuntano deboli i raggi del sole a illuminare le mura danneggiate della chiesa dei Ss Nicandro e Marciano e la torre campanaria, sempre più in bilico tra il cielo e la terra. Luci che mettono impietosamente in evidenza i danni arrecati dal terremoto del 2009 e le ulteriori lesioni provocate dalle ultime scosse.
Il camposanto è divenuto un campo di battaglia in cui si contano lapidi spezzate e vasi di fiori riversi lungo i bordi delle tombe, colpiti dalle raffiche di vento che hanno soffiato qualche giorno fa.
Tra di esse riconosco quella di Ciccozzi Roberto, l’ultimo calzolaio del paese. Troppe cose mi legano a quel posto. Sono lì a ricordarmi un mondo che non c’è più, e che chiede solo di essere rispettato e di non essere dimenticato. Un quadro desolante, non c’è che dire!
Sotto una leggera pioggerellina, due persone stanno provvedendo a risistemare le pietre che ornano gli ingressi di una delle cappelle, anch’esse cadute per via della forte sollecitazione tellurica che ha colpito il cuore dell’Italia. L’immagine della facciata (da poco ristrutturata) della chiesa stride fortemente con il resto della fabbrica.
Sono otto anni, ormai, che i parrocchiani di Roio Piano e Santa Rufina non hanno più un luogo di culto in cui pregare e un posto dove piangere i loro morti. Le funzioni sacre vengono celebrate nel vicino centro di aggregazione del villaggio MAP. Sin dal 2009, non è mai emersa una chiara volontà di realizzare una struttura lignea che avrebbe potuto sopperire alla “momentanea” mancanza dell’importante luogo di culto dedicato ai martiri sipontini; senz’altro più consona alle esigenze spirituali dei parrocchiani. La chiesa di San Marciano fa parte della storia della comunità Roiana e Aquilana. E’ intorno ad essa che gli abitanti della vallata si sono raccolti e hanno condiviso gioie e dolori. E’ questa la parrocchia che ha dato i natali a quella del capoluogo abruzzese, la quale è poi divenuta chiesa capoquarto. Un riconoscimento, questo, che evidenza la rilevanza che la stessa ha avuto nelle vicende passate della città. Ma, tale importanza storica, sociale e spirituale pare non aver trovato spazio nel cuore e nella volontà di coloro che avrebbero dovuto provvedere al suo recupero. Le immagini dell’edificio sacro così malconcio, abbandonato, e quella del suo camposanto non sono altro che uno spaccato della ricostruzione aquilana. Un quadro dalle tinte caravaggesche che “suona” come un sonoro schiaffo alla nostra storia e una mortificazione al ricordo dei nostri cari che sotto l’ombra di quella chiesa riposano in pace. O almeno così dovrebbe essere!