Teatro e terremoto: il coraggio di raccontare

Oltre 13000 persone collegate da tutto il mondo, dalla Norvegia al Canada. 4700 in Abruzzo: poi Campania, Molise e Basilicata. Sono i numeri eclatanti della diretta streaming dell’evento “La storia che non si deve raccontare”, monologo teatrale di e con Silvio Sarta, andato in scena con l’organizzazione de Il Capoluogo ieri in una gremitissima aula magna della Facoltà di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila.
Una prima assoluta, all’Aquila, per il monologo di Sarta, dopo la “prova generale” del 31 ottobre a Fagnano: “un cerchio che si chiude” ha detto, commosso, l’attore e giornalista.
Uno spettacolo che si rinnova nelle forme e nelle collaborazioni: suggestiva la location di Fagnano, all’interno di una chiesa sconsacrata. Emozionante e partecipata l’atmosfera che si respirava ieri, grazie all’accompagnamento della musica dal vivo degli studenti del Conservatorio “A. Casella”, che hanno composto delle musiche inedite per lo spettacolo. A sottolineare con la danza i momenti più intensi, le danzatrici di Zero Gravity, con le coreografie di Nicoletta Ragone.
A curare immagini, regia e la diretta streaming sulle sessanta testate online Anso più importanti d’Italia, dell’evento è stato Max Brutti.
“In una chiesa sconsacrata, in un’Aula Magna, nel cuore: siamo sempre a teatro” ha detto Sarta che, sentendo il calore e gli spunti emersi dal dibattito moderato da Antonello Capurso che è seguito, ha annunciato il sequel de La storia che non si deve raccontare. Nel prossimo spettacolo teatrale, al quale metterà mano a breve, Silvio Sarta parlerà di come la Giustizia italiana abbia affrontato, in maniera anche contraddittoria, il post 6 aprile 2009 all’Aquila.
IL DIBATTITO
E’ cambiata la comunicazione del rischio dal terremoto dell’Aquila del 2009 ai terremoti di questi ultimi mesi nel Centro Italia? E’ questo il tema sul quale si sono confrontati giornalisti locali e nazionali, esponenti politici e della società civile dopo lo spettacolo di Silvio Sarta.
All’incontro, moderato da Antonello Capurso, giornalista Mediaset, hanno partecipato i giornalisti Giustino Parisse, de Il Centro, e Umberto Braccili, di Rai3; Wania della Vigna, avvocato delle Parti Civili non solo per i ragazzi deceduti nel crollo della casa dello studente, ma anche per le vittime del terremoto di Amatrice; Sergio Bianchi, presidente AVUS (Associazione Vittime Universitarie Sisma); Carlo Benedetti, presidente del consiglio comunale dell’Aquila; Giosuè Calabrese, ex presidente della provincia di Rieti.

“Sì, è cambiata la comunicazione dal terremoto aquilano a quelli del centro Italia. Noi, istituzioni aquilane, ci siamo forse resi conto adesso, dopo queste ultime scosse, di quanto sia stata differente la comunicazione dal 2009 ad adesso” ha sottolineato Carlo Benedetti. Un concetto rimarcato dall’ex presidente del consiglio di Rieti, Calabrese: “La differenza sta nella sensibilizzazione che si è diffusa e ha permeato noi istituzioni e i cittadini. Dopo il 24 agosto e dopo il 30 ottobre abbiamo dato risposte migliori. Un terremoto devastante come quello di Norcia non ha avuto vittime: vorrei comunque che continuasse lo sforzo istituzionale. Non è il tempo delle illusioni, perché il terremoto vero è adesso, per chi è rimasto e deve combattere. L’efficacia della comunicazione istituzionale deve essere massima ora, ricreando una vita reale e sociale, quotidiana. Non è facile ma è fattibile.”
“È una storia che ci dobbiamo raccontare” sottolinea Wania della Vigna. “La comunicazione è cambiata anche grazie a quei 309 morti dell’Aquila. C’è stato un processo, concluso, che parla di una comunicazione sbagliata che ha portato a dei morti: c’è un nesso causale specifico. Sono rimasti dentro le loro abitazioni perché qualcuno li ha rassicurati, ha detto che l’energia si stava scaricando. Gabrielli, d’altro canto, già nel 2013 disse che la comunicazione non sarebbe più stata uguale”
Le opinioni dei politici si sono però andate a scontrare con quelle dei giornalisti locali presenti.
“Non è cambiato nulla, perché quando si sbaglia si chiede scusa. Per il terremoto dell’Aquila nessuno ha chiesto scusa.” ha detto Umberto Braccili, ponendo l’attenzione sui piani di protezione civile comunali. Solo il 40% dei Comuni si è dotato di un piano di protezione civile e di questi solo il 10% è attuabile. E’ la mentalità, politica e istituzionale, legata anche alla comunicazione, che non cambia. “Forse, se avessimo messo 99 tende in questa città dalle 99 piazze qualcosa sarebbe cambiato. Ma mancano ancora le scuse e riconoscere che si è sbagliato. La politica non ha mai chiesto scusa.”
Concetto rimarcato da Sergio Bianchi, presidente Avus, che nel sisma ha perso un figlio, Nicola, e che si sta battendo per la legge 100, quella che impone, appunto, l’istituzione dei piani di protezione civile comunali. “Da padre di un figlio morto sotto alle macerie di un terremoto, mi chiedo perché, se mai ci sia stato uno spartiacque nella comunicazione, sia dovuto capitare a me e a 309 vittime. Ma se intendiamo che il terremoto dell’Aquila sia servito ad una solidarietà più tempestiva, è un fallimento. Bisogna impegnarsi per la prevenzione e per la protezione dei cittadini e del popolo. Ad Amatrice questo non è accaduto: i morti sono stati pochi meno dell’Aquila. A Norcia non ci sono stati morti solo perché erano già fuori dalle case per le scosse precedenti”.

Ci va giù duro anche Giustino Parisse: “La politica non ha fallito perché non ci ha provato nemmeno. Sono venuto stasera ad assistere allo spettacolo, anche un po’ scettico. Invece ringrazio Silvio Sarta, perché ho rivisto in lui me stesso la mattina del sei aprile, seduto fuori, disperato, nel mio giardino. Noi parliamo di comunicazione del rischio. Ma che significa? Che cos’è? È dare la possibilità al cittadino, a fronte di una catastrofe, di avere una possibilità: anche una sola. Qui all’Aquila e ad Amatrice non è stata data. A Norcia erano già fuori dalle case per le scosse precedenti. Come viene comunicato? Il rischio non viene comunicato. L’unica cosa che è cambiata è: si salvi chi può. Se si salvi chi può fosse stata una frase detta nel 2009, forse qualche morto in meno ci sarebbe stato.”
E ancora, Parisse: “nulla è cambiato. La prima cosa da fare è la prevenzione ovvero costruire bene. C’è chi su Casa Italia conta di costruirsi una visibilità nazionale, mentre per anni è stato latitante. Non sono sicuro che all’Aquila si stia costruendo bene: spero di essere smentito al prossimo terremoto di magnitudo 6.3″
“I piani di protezione civile stanno a un 6.3, come un’aspirina sta ad una patologia grave” ribatte Benedetti. “servono relativamente. Quello che si deve fare è reperire i fondi per mettere in sicurezza l’Appennino. È un grande investimento, perché le vite si salvano investendo in sicurezza. Questo deve fare la politica: ma dubito che in Italia ci sia la maturità per fare questo.”

A chiudere il sentitissimo dibattito, Vincenzo Vittorini: “Ringrazio Silvio e Roberta Galeotti de Il Capoluogo per il coraggio: perché ci vuole coraggio a parlare di questi temi in una città come l’Aquila. A chi serve la comunicazione istituzionale? Se l’unico scopo è quello di salvare l’istituzione non serve. Serve solo a salvare chi sta dall’altra parte. E’ utile quando è utile al cittadino, non ad una parte sola. Noi continueremo a chiedere verità e giustizia. Siamo in un paese che si batte per chiederla, ai massimi livelli istituzionali, per la morte di Giulio Regeni. Qui, invece, lo Stato ha nascosto la giustizia sotto ad un tappeto”