Di Benedetto, storia fratricida del Pd aquilano

Dal primo giorno di primarie all’elezione del sindaco, nulla è stato scontato in questa folle corsa politica.
di Roberta Galeotti
L’inaspettata vittoria di Americo Di Benedetto alle Primarie di coalizione ha dato vita ad una guerra intestina che è culminata ieri sera nella sconfitta del Pd.
Forse gli ex Ds non sono arrivati fino al punto di far votare Biondi, pur di non far vincere Americo Di Benedetto, ex democristiano, margheritino e, in fine, Renziano rottamatore della prima ora, ma di sicuro i compagni non si sono affannati a far tornare alle urne per il secondo turno gli aquilani, per assicurare la vittoria a Di Benedetto. Come si dice, senti quello che dice il servo per sapere cosa pensa il padrone! Così sbirciando alcune bacheche strategiche, si legge che il vero vincitore di queste elezioni amministrative sia Pierpaolo Pietrucci.
Ora tutti si affannano a trovare le pecche nel Re rimasto nudo, ma il Re è stato lasciato solo. Meglio perdere il governo della città per 5 anni, ed avere il tempo per riorganizzarsi, piuttosto che perdere il partito. Americo Di Benedetto, se avesse vinto, avrebbe indebolito la cupola aquilana ed i suoi delfini. Avrebbe organizzato dall’interno la sua forte resistenza ed avrebbe contrapposto palizzate di potere a chi non vuole lasciare neanche una briciola, di quello stesso potere. Americo se lo sentiva e ieri ha postato la sua foto del voto con un amaro commento premonitore: “Almeno il mio voto è sicuro”.
Si è sacrificata una vittima L’Aquila, e il governo dell’Aquila per i prossimi 5 anni, pur di distruggere un temibile avversario interno, Americo Di Benedetto, che da sindaco avrebbe guadagnato potere e spazio dentro il Partito.
In questa elezione, poi, ci sono stati tanti fattori che hanno contribuito a rendere particolare la tornata elettorale. Per la prima volta si è arrivati a votare a fine giugno; per la prima volta si è votato in un’unica giornata, tagliando le utili ore del lunedì mattina, e per la prima volta si è concesso la doppia preferenza di genere. Tutto questo insieme ha prodotto un’elezione Kafkiana assolutamente imprevedibile.
Su 752 candidati ben 496hanno preso meno di 50 preferenze, 88 meno di 100 e solo 35 hanno incassato sopra a 300 preferenze.
Dalle pagine del Capoluogo abbiamo scritto molte volte, in questi due mesi, che solo 50 avrebbero realmente giocato una partita politica per entrare nell’assise comunale. Le liste sono state infarcite di riempilista che, laddove la lista era stata costruita bene, avevano l’obiettivo di portare le preferenze a chi aveva composto la lista, com’è successo nel caso di Cambiare Insieme di Lelio De Santis, in cui, molte delle donne che componevano la lista, avevano il ticket politico con l’ex assessore al bilancio. In altri casi, abbiamo assistito a meri nomi riempilista: moglie e marito in due liste diverse; cognato e cognata o due sorelle una a destra ed una a sinistra.
Non è mancato neanche il cattivo gusto di cambiamenti di rotta da sinistra verso destra, da parte di candidati che, non curanti della forma e del buongusto, hanno sbandierato le contrastanti posizioni su Facebook. Una candidata con la lista Cambiare Insieme, ieri sera, scriveva un post taggando Emanuele Imprudente, di Noi Con Salvini, commentando la vittoria di Biondi, “Ci siamo riusciti, #biondisindaco”. Quando qualche attento lettore le ha fatto notare l’incongruenza del commento con la sua candidatura a sinistra, la candidata ha confermato “d’aver cambiato rotta” in corsa. Tutto può succedere, ma almeno il buon gusto di evitare di sbandierarlo ai quattro venti senza ritegno.
Le ideologie non esistono più e, sempre più di frequente, si scende in campo per cercare potere e visibilità, ma che si mantenga un minimo di contegno, almeno per salvare la faccia.
Si sa che saltare sul carro dei vincitori sia lo sport preferito un po’ da tutti, così oltre ai sostenitori dell’ultimo minuto, ci aspettiamo che presto saltino sul carro della maggioranza anche alcuni degli eletti. La giacca della minoranza starà stretta a molti consiglieri ‘in cerca di potere’. Ai posteri l’ardua sentenza.