ControSenso: dibattito sulla comunicazione

di Francesca Marchi e Diego Renzi
Il giornalista Filippo Facci, il direttore di San Francesco.org Padre Enzo Fortunato, il re delle bufale, Ermes Maiolica, il dietologo Alberigo Lemme, lo speaker di Rds Max Pagani e il produttore cinematografico, Vittorio Cecchi Gori, sono solo alcuni dei tanti ospiti del Festival, giunto alla quinta edizione.

Di seguito uno zoom sugli incontri
L’obbligo delle vaccinazioni
Alle 10.30 è stata la volta del panel “L’obbligo delle vaccinazioni: il ruolo della comunicazione”, tema quanto mai rovente all’interno del dibattito pubblico nazionale. Attesa ma assente il Ministro della Sanità Beatrice Lorenzin: l’incontro si è trasformato così in un dialogo botta e risposta tra l’assessore regionale alla Sanità Silvio Paolucci e il direttore Rai Tgr Silvano Barone.

In Abruzzo ad ora non ci sono state situazioni critiche, ha assicurato Paolucci: “Noi come governo regionale dobbiamo indirizzare verso la letteratura scientifica prevalente ed i benefici sulle coperture vaccinali sono solidamente dimostrati”,
C’è tuttavia un tema, quello della comunicazione nell’ambito della Sanità, che l’assessore regionale ha messo in evidenza con una provocazione all’uditorio di giornalisti: “Uno dei grandi temi è il grande limite della comunicazione in sanità. C’è la regola nella comunicazione che una cattiva notizia fa titolo, mentre una buona notizia non è notiziabile: in sanità si abusa di questo. Il titolo di una protesta di cento persone è notiziabile, raccontare che un certo tipo di reparto nei suoi esiti di cura sia utile oppure no non è notiziabile”.
“Se una persona entra in un luogo in cui non si può intervenire perché l’UTIC (Unità di Terapia Intensiva Cardiologica, ndr) non c’è, se non si può intervenire perché il politrauma non ha un percorso possibile, quel cittadino se ci va con la sua macchina perde tempo inutile. Io non ho mai sentito un giornalista fare un pezzo su questo, perché ha poco appeal“.
L’assessore alla Sanità, incalzato da Barone, ha difeso il suo operato in Regione sul piano di risanamento, riconoscendo peraltro il lavoro svolto dalla precedente legislatura: sono stati erogati 290 milioni di debiti pregressi e il credito del sistema sanitario è stato azzerato.
Un prodotto chiamato donna: conseguenze della deumanizzazione
Immacolata Giuliani (giornalista e crimiloga), Annamaria Arlotta (giornalista), Daniela Senese (psicoterapeuta), Monica Bonsangue (psicoterapeuta) sul prodotto dei messaggi pubblicitari che mostrano la donna come “bellissima” o “casalinga”. Modera Roberta Galeotti, direttore de Il Capoluogo.

“Mentre la donna viene narrata insignificante dal punto di vista della personalità e delle competenze, il profilo dell’uomo si sbilancia verso il lavoro”. La pubblicità racconta gli italiani: tra modelli di genere, identità violate e doppi sensi.
La pubblicità italiana è considerata tra le più sessiste al mondo: promuove stereotipi e modelli discriminanti, relegando la donna a ruolisuperficiali.
Basato sull’analisi di quasi 20 mila campagne (tv, radio, affissione, stampa e banner web), lo studio ha esaminato il modo in cui uomini e donne sono raccontati nella pubblicità, identificando 12 tipologie narrative femminili e 9 maschili. Le tipologie di donna più utilizzate negli spot, sommate tra di loro, offrono un quadro piuttosto esplicativo. Nell’81,27 per cento dei casi si tratta infatti di “modelle” (ideale di bellezza), “grechine” (elemento decorativo che non dice niente), “disponibili” (in atteggiamenti di esplicita disponibilità o meglio possibile uso sessuale), “manichini” (corpo femminile o parti di esso), “ragazze interrotte” (annullate in quanto persona) e “preorgasmiche” (in espressione di piacere sessuale). Ovviamente, come prevedibile, la somma delle analoghe categorie per i maschi non arriva nemmeno al venti per cento.
Così, mentre la donna viene narrata insignificante dal punto di vista della personalità e delle competenze – un oggetto e poco soggetto -, il profilo dell’uomo invece sbilancia verso il lavoro. In più della metà dei casi negli spot pubblicitari il maschio è presentato come un professionista. Ma raramente come padre (solo nel 4,32 per cento dei casi).
(in aggiornamento)