Carrefour, l’azienda ha ucciso ancora

22 luglio 2017 | 11:17
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Carrefour, l’azienda ha ucciso ancora

“L’azienda ha ucciso una seconda volta” –  il commento di Marina Alberti, moglie di Franco Eleuteri, il macellaio di Carrefour che si è tolto la vita lo scorso 28 maggio. “Maurizio e Franco erano legati da una profonda amicizia. Con questo licenziamento l’azienda vuole scrollarsi di dosso il suicidio di mio marito ed addossarlo su Maurizio” – parla chiaro Alberti a quasi due mesi dalla morte del marito e padre dei suoi figli.

Secondo la donna i problemi del marito e il presunto mobbig subìto, dichiarato in una lettera prima del suicidio, sarebbero cominciati in primavera, quando Panepucci fu trasferito da Acquasanta a Via Vicentini.

“I problemi di Franco sono cominciati con il trasferimento di Panepucci. Da quel momento hanno cominciato a bersagliare mio marito e il reparto. Lui tornava a casa disintegrato, una volta quasi piangendo. Tagli di ore personale, turni stressanti: Franco a metà mattinata veniva lasciato da solo perché i suoi collaboratori venivano spediti in gastronomia o in cassa”.

Panepucci è stato sospeso dall’incarico i primi di luglio, la lettera di licenziamento è arrivata ieri, inaspettata, visto che questa settimana si terrà un incontro a Roma tra i vertici dell’aziende e l’Ugl, sindacato a cui Panepucci era iscritto insieme ad altri 42 dipendenti.

“Sembra una sorta di minaccia per chi appartiene all’Ugl. I nomi dei colpevoli verranno fuori da soli, sono incazzatissima per quanto dichiara la Carrefour: l’azienda non aiuta i lavoratori, ma li aiuta solo al suicidio!”

La rabbia, il dolore di Marina Alberti, tra l’inferno di oggi e la vita di ieri

“Mio marito era svuotato. Eravamo a un passo dal prepensionamento. L’offerta fatta dall’azienda lo avrebbe messo in pensione dal primo agosto 2019. L’aveva accettata: 40 mila euro in tasca di cui 22 per pagare i contributi. Con il resto ci avrebbe dovuto campare due anni. Lui amava il suo lavoro tanto che stava lavorando con due dita in una mano a causa di un infortunio, ma non voleva lasciare il reparto che si era costruito in 12 anni”.

“Non ricordo più mio marito com’era. Lo immagino solo senza testa nella nostra casa, con il fucile accanto e gli schizzi di cervello sulle pareti. La nostra è una famiglia devastata. Devono pagare i colpevoli”.