Reportage

Cimitero monumentale, all’ombra de’ cipressi e dentro l’urne

di Andrea Giallonardo

Gli individui, benché defunti, hanno comunque una storia da raccontare: bisogna solamente avere la pazienza di ascoltarla.

Tra le tante iniziative previste per L’Aquila Horror Film Festival si è rivelata particolarmente degna di nota la visita al cimitero monumentale tenutasi nel primo pomeriggio di domenica.

Andrea De Petris, dopo un lungo e meticoloso lavoro di documentazione, ha  condotto i cittadini interessati sulle sepolture più suggestive del nostro camposanto.

A parlare per i defunti sono gli epitaffi, le foto, ciò che i parenti hanno voluto restasse come perenne testimonianza della loro esistenza.

Non è difficile immaginare come Giuseppe non si sia mai separato dalla sua pipa per gran parte dei suoi 105 anni di vita: fumava una pipa lunghissima di quelle che nessuno usa più ed  è comprensibile dal momento che Giuseppe è morto agli inizi del Novecento.

Più in là riposano Giovanna e Vittorio, due fratelli deceduti molto giovani ad appena due anni di distanza l’una dall’altro. Forse il cuore di Vittorio non ha accettato di non poter più battere all’unisono con quello dell’adorata sorella.

Due tombe più avanti troviamo Giovanni: i suoi cari ci raccontano come egli abbia cercato la morte, deluso da una vita non all’altezza dei suoi ideali.

La zona più antica del nostro cimitero assomiglia più ad un giardino, un silenzioso luogo di meditazione, un regno di pace in stridente contrasto con il clamore e le urla rabbiose provenienti dal vicino stadio.

Bestemmie e imprecazioni, tuttavia, non possono turbare il sonno di una bimba, l’epitaffio è troppo sbiadito per poter leggerne il nome ma poco importa, a guardia della piccola c’è un cherubino.

Sono tanti, tra angeli, cherubini e putti, i silenziosi guardiani che ammoniscono i visitatori ad entrare in punta di piedi ricordando che qui sono solo ospiti.

La foto sulla lapide ritrae la bambina già morta:

“Ricordate che la maggior parte di queste tombe risale alla fine dell’Ottocento – spiega De Petris – in quell’epoca anche l’Italia, seppur in maniera marginale, risentì delle usanze che presero piede nell’Inghilterra vittoriana. La pratica di fotografare i defunti, a volte disposti in mezzo ai vivi, venne da lì.”

L’ultima sepoltura da visitare alla luce del crepuscolo è quella di Karl Heinrich Ulrichs, il primo omosessuale in Europa a fare ciò che noi moderni chiamiamo outing. Ulrichs, studioso di latino e greco, in pieno Ottocento venne all’Aquila per insegnare presso il Regio Liceo Classico e, con notevole coraggio considerando l’epoca, non si vergognò di mostrarsi in pubblico con il proprio convivente. La figura di Karl Ulrichs è così conosciuta che la sua tomba è stata inserita nel database del sito Findagrave.com dove sono catalogate le sepolture dei personaggi più conosciuti della storia.

Il cimitero dell’Aquila risale al 1865 quando la nostra città, con notevole ritardo, si adeguò alle disposizioni dell’Editto di Saint Cloud che prevedeva la creazione di luoghi di sepoltura collettiva al di fuori dei centri abitati.

Dov’era quindi il cimitero dell’Aquila prima di quella data?

“Prima dell’editto napoleonico i luoghi di sepoltura erano sparsi un po’ ovunque – illustra Andrea – i ricchi si facevano seppellire nelle chiese o in cappelle private realizzate all’interno delle abitazioni. Per la gente comune la soluzione era più semplice, si scavava una fossa in un campo adibito a cimitero e si metteva una croce di legno, a volte neanche quella. I cimiteri, per molto tempo, sono state poco più che fosse comuni. All’Aquila il vecchio cimitero si trovava nella zona dove ora passa Via XX Settembre, vi siete mai chiesti perché in quella zona si trovi una via chiamata Via Campo di Fossa? Lì, sotto le strade e le case, ci sono i resti dei nostri antenati. Un altro cimitero collettivo, dove furono sbrigativamente seppelliti i morti del terremoto del 1703, si trovava lì dove è stato costruito il Mc Donald. Non bisogna dimenticare, inoltre, i piccoli cimiteri che spesso venivano realizzato attorno le chiese, a tale proposito non dobbiamo meravigliarci del recentissimo rinvenimento di ossa umane sotto la piazza antistante la chiesa di S Maria Paganica”

La passione per queste tematiche, in Andrea De Petris, è sorta precocemente:

“Nel 1982 la mia famiglia venne a vivere presso il quartiere della Torretta, io ero bambino ed essendo la nostra casa molto vicina al cimitero spesso mi ritrovavo a giocare con gli amici tra i cipressi e le tombe. Crescendo ho incominciato a svolgere ricerche sulla storia del cimitero ed ho scoperto che prima del 1865 la zona dove ora si trova il camposanto era adibita a giardini e vigneti. Questi orti erano curati dai monaci Olivetani il cui monastero era adiacente alla chiesa di S Maria del Soccorso che molti erroneamente chiamano la chiesa del cimitero. Prima del 1865 l’unico luogo di sepoltura era costituito da una grande cappella, ancora in piedi seppur diroccata, dove gli olivetani seppellivano i confratelli defunti. Con l’istituzione del cimitero e la partenza degli olivetani nella cappella furono seppelliti normali cittadini fino agli anni cinquanta/sessanta, quando cadde in disuso"

Vi svelo un dettaglio interessante: negli spazi ipogei della cappella si trovano corpi parzialmente mummificati. Probabilmente le condizioni ambientali favoriscono la conservazione delle salme che quindi non possono essere collocate nell’ossario dopo il decorso degli anni previsti. Si pensò allora di sistemarle al di sotto della struttura dove si trovano ancora oggi.”


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