Reportage

Collemaggio, le voci del passato

 

di Fulgenzio Ciccozzi

Nell’isola che non c’è posta sul cocuzzolo di Collemaggio si nascondono storie che quel luogo conserva strette in seno alle sue memorie.

Storie che raccontano vicende di persone speciali che hanno varcato l’ingresso di quello che, fino a qualche decennio fa, era un nosocomio.

Venne costruito agli inizi del Novecento per ospitare emarginati, sofferenti affetti da patologie mentali più o meno gravi. Una cospicua comunità di assistiti, operatori sanitari, suore e maestranze varie si muoveva tra quei numerosi padiglioni.

Franco faceva parte di quella famiglia. Ha quasi novant’anni. In quel luogo, ha svolto (con professionalità e umanità), per quasi 40 anni, il lavoro di infermiere.

Racconta che erano affisse sui muri le regole alle quali i dipendenti dovevano severamente attenersi al fine di tutelare i ricoverati. Si guarda intorno e osserva ciò che resta di quel piccolo mondo. L’eco delle maestranze si mischia con quello degli assistiti e riaffiora dal passato che quei fabbricati in rovina sembrano aver inghiottito.

Franco fa qualche passo, poi si ferma e richiama l’attenzione proiettando l’indice verso punti ben precisi che emergono tra quegli spazi silenti in cui la natura e l’abbandono sembrano aver preso il sopravvento.

Accanto agli edifici che ospitavano i malati – afferma – c’era la lavanderia, poi la cucina, poco distante la bottega del calzolaio, quindi la tessitoria, il magazzino, più lontano l’ovile, e… persino la porcilaia!

Nei suoi racconti si percepisce ancora il profumo che emanava il pane appena cotto e l’odore dell’erba recisa che proveniva dai prati della vicina vaccheria. Sulla cima del colle, i panni e le lenzuola distese al sole coprivano una parte dell’altura.

Non dimentichiamo che la psichiatria tradizionale dell’epoca si basava sul lavoro manuale ed altri mezzi (più o meno opinabili) quale sistema curativo.

Spesso, i frati francescani si recavano a visitare l’ospedale per dare un po’ di conforto ai ricoverati. La pulizia del pavimento della Basilica, in occasione della Perdonanza Celestiniana, rientrava tra i contributi (non impositivi) elargiti dagli ospiti del nosocomio.

Così, ogni anno, in uno dei pomeriggi di fine agosto, lo strofinio delle ramazze, lo scorrere dell’acqua e il vociare, a tratti altisonante, dei degenti, rimbombavano tra quelle navate intonando un tipo di coro inusuale per quell’ambiente sacro.

Da quei giorni, la Madonna, cui la chiesa è stata consacrata, non ha più accolto tra le sue braccia questi suoi umili vicini; la legge ha deciso di percorrere altre vie, ponendosi come obiettivo un diverso approccio per la cura e l’assistenza di coloro che sono affetti da disturbi psichici.

Un approccio che non fa leva sull’ospitalità, spesso, coercitiva del malato come precetto curativo, bensì sull’inclusione, quale migliore formula terapeutica.

Non dimentichiamo che oggi, parte dell’onere dell’assistenza ricade sulle famiglie, le quali, pur riversando tutto l’affetto possibile verso i loro congiunti, a volte hanno difficoltà nel combattere una battaglia umana e sociale difficile dalla quale una società, denominata civile, non può e non deve estraniarsi.

 

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