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La città di Arlecchino

21 gennaio 2018 | 09:22
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La città di Arlecchino

di Fulgo Graziosi

Caro Sindaco,

apprendo con piacere che la nostra città vorrebbe candidarsi “capitale della cultura” nel prossimo futuro.

Indubbiamente, avrà bisogno di colmare tutti i requisiti negativi che portarono alla bocciatura nel recente passato.

Avrà, perciò, la necessità di rifarsi il trucco, non soltanto per l’estetica urbanistica, ma, anche e soprattutto, sotto il profilo squisitamente culturale. Per poter conquistare il diritto e il titolo di “Capitale della Cultura” occorreranno tempo, capacità professionale, investimenti economici, qualche prestigiosa iniziativa di carattere culturale di livello internazionale, la rivalutazione delle potenzialità artistiche e culturali attualmente in crisi e una bella, sostanziale e radicale ripulitura dell’ambiente cittadino e territoriale.

Ho notato, da diverso tempo, che molte anomalie, riscontrate nella gestione della città e del circondario, vengono ancora attribuite all’evento sismico del 2009. Attenuante comprensibile e plausibile  nella immediatezza dell’avvenimento e nei primi anni successivi.

A distanza di nove anni, però, non è più possibile attribuire al terremoto la mancanza di controllo del territorio. Mi riferisco, in particolare, alla dissennata e inqualificabile affissione di annunci pubblicitari, manifesti e poster, nei luoghi più disparati, con scarso rispetto degli spazi di affissione, previsti e ordinati nel piano comunale.

Fin quando si tratta di tappezzare con manifesti  le palizzate dei cantieri della ricostruzione in centro e in periferia, si può anche accettare il concetto. In ultima analisi non si arrecano danni permanenti all’ambiente cittadino, tenuto conto che le predette recinzioni saranno smontate al termine dei lavori.

I danni permanenti al decoro cittadino vengono arrecati dall’apposizione incontrollata dei manifesti e, in particolare, degli annunci di morte nei luoghi più disparati.

Non si salvano gli angoli dei fabbricati, i muri di contenimento delle strade, i pali in cemento della luce, le centraline telefoniche e neppure gli sportelli  dei contatori del gas, dell’acqua e dell’energia elettrica.

Ritengo che una città d’arte, un capoluogo proteso a conquistare spazi nei flussi turistici e culturali nazionali e internazionali possa continuare ad offrire ai visitatori deturpanti spettacoli del genere. L’emergenza è terminata da tempo e i cittadini vorrebbero che si tornasse alla normalità anche mediante la disciplina dell’affissione dei manifesti.

Appare quanto mai urgente ed opportuno che la cromatica tappezzeria che avvolge tutta la città e i dintorni venga rimossa, se non vogliamo che ci venga attribuito anche l’appellativo della “Città di Arlecchino”. Confido, con me confidano tutti i cittadini aquilani, che la “tappezzeria” possa essere rimossa al più presto.