Cibo e DNA, curarsi con l’alimentazione

In altre parole, il cibo influenza l’espressione dei geni a tal punto che negli ultimi anni sono nate diverse discipline dedicate a questo stretto rapporto che cercano di interpretare la nutrizione non più soltanto in termini di calorie ma anche di salute.
Una delle più importanti discipline che si occupa di studiare il rapporto tra alimenti e modulazione dell’espressione dei geni è la nutrigenomica. Appare chiaro che la nutrigenomica non ha l’ambizione di modificare il DNA, cosa per altro impossibile, ma piuttosto di far funzionare in modo diverso un gene modulando la capacità di produrre proteine. Questo vuol dire che, se la proteina è coinvolta nei processi digestivi, l’individuo potrà assistere ad un miglioramento della capacità di digerire alcune sostante nutritive. Ma il grande obiettivo della nutrigenomica è quello di capire e gestire in maniera proficua il legame profondo tra cibo e malattie come il cancro e l’Alzheimer.
Come il cibo influenza il DNA così quest’ultimo può influenzare la risposta dell’organismo rispetto ad un determinato nutriente. In altre parole, due persone diverse possono reagire differentemente rispetto all’assimilazione dello stesso alimento. In questo contesto entrano in gioco gli SNP, ovvero delle variazioni lievi nell’assetto genetico individuale associate alla maggior parte delle patologie. Lo studio degli SNP è molto utile poiché variazioni anche di singoli nucleotidi possono influenzare lo sviluppo delle patologie o la risposta ai patogeni, agli agenti chimici, ai farmaci. Per tale motivo gli SNP possono avere una grande importanza nello sviluppo di nuovi farmaci e nella diagnostica, in quanto consentono di conoscere l’effetto che può avere un farmaco su un individuo ancor prima della somministrazione
Quello che viene fuori, dunque, dal rapporto stretto tra cibo e geni è la possibilità di definire per ogni individuo una dieta personalizzata che tenga conto non solo degli aspetti ‘fisici’ ma anche del patrimonio genetico.
A tal fine è nata nel secolo scorso una seconda disciplina, la nutraceutica, capace di studiare i principi nutrienti contenuti negli alimenti per fare in modo che abbiano effetti benefici sulla salute. Che il cibo possa avere effetti benefici sulla salute non è un concetto proprio della società moderna. Gli indiani, egizi, cinesi, e sumeri sono solo alcune civiltà che hanno fornito la prova che suggerisce che gli alimenti possono essere efficacemente usati come medicine per curare e prevenire le malattie. L’ayurveda, la medicina tradizionale indiana vecchia di cinquemila anni, cita i benefici del cibo per scopi terapeutici. Ippocrate, considerato da alcuni come il “padre” della medicina occidentale, sentenziava «Lasciate che il cibo sia la vostra medicina e la vostra medicina sia il cibo».
Le sostanze nutraceutiche sono normalmente derivate dalle piante, dagli alimenti e da fonti microbiche. Esempi di nutraceutici sono i probiotici, gli antiossidanti, gli acidi grassi polinsaturi (omega-3, omega-6), le vitamine e i complessi enzimatici. Tipicamente vengono utilizzate per prevenire le malattie croniche, migliorare lo stato di salute, ritardare il processo di invecchiamento e aumentare l’aspettativa di vita.
Il passo che ci si attende dalla scienza moderna è una indicazione ancora più personalizzata che, partendo dal rapporto tra cibo e DNA, possa definire per ogni individuo una dieta capace di prevenire o curare una o più malattie. La rubrica di Bitsalus tornerà presto ad occuparsi di questo argomento per aggiornare i lettori sugli sviluppi scientifici e medici.
<em><strong>*BitSalus</strong>, rubrica scientifica del Capoluogo, curata da Roberta Galeotti</em>
